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Lo strabismo dei filo-palestinesi scioperaioli

Che cosa è stato detto e che cosa non è stato detto durante gli scioperi. Il taccuino di Guiglia

Difficile trovare un italiano insensibile alle sofferenze che da tempo stanno vivendo troppi cittadini, indifesi e innocenti, a Gaza. Ma la condivisione di un sentimento nazionale si trasforma in contrapposta opinione non appena si dà forma ideologica a tale e sacrosanta indignazione.

Ecco le due Italie che ieri si sono di fatto divise, sull’onda del controverso, ma riuscito sciopero generale pro Gaza e contro i governi d’Israele e d’Italia accomunati dalla protesta del “blocchiamo tutto”.

Protesta promossa dalla Cgil e dall’Unione sindacale di base in numerose piazze: oltre 2 milioni di manifestanti secondo gli organizzatori (400 mila per il Viminale), con momenti di tensione e di scontri con la polizia qua e là. Senza però quegli incidenti della vergogna che giorni fa devastarono la stazione di Milano dopo un corteo pro-Pal.

Dunque, non sono mancati i temuti provocatori e violenti infiltrati: agenti feriti e fermi. Ma ovunque è prevalso il pacifico e grande esercito di lavoratori, studenti e famiglie semplicemente interessati alla pace in Medio Oriente e ai palestinesi senza Patria. A gridare al primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, tutto lo sdegno possibile.

Ma accanto a quest’Italia ce n’è un’altra ampia e non rumorosa. Un’Italia che non esibisce cartelli, né urla la sua altrettanto legittima arrabbiatura per essere rimasta imbottigliata, appiedata, danneggiata senza colpe nelle sue non meno importanti libertà a causa di uno sciopero dichiarato illegittimo per mancato preavviso dalla preposta Commissione di garanzia.

Un’Italia che non comprende: che c’entra la Palestina con i problemi del lavoro qui, cioè con le battaglie sindacali? Perché attaccare l’unico governo in Europa – quello italiano – che si è premurato subito di far scortare con la Marina militare la flottiglia con a bordo anche cittadini e politici italiani verso Gaza e di interloquire con le autorità israeliane per evitare incidenti, e incidenti dopo gli abbordaggi non ce ne sono stati? Come si può sorvolare sul fatto che l’Italia sia il Paese europeo col maggior numero di palestinesi curati negli ospedali e accolti nelle Università?

Ma soprattutto: perché ignorare l’accordo della possibile svolta, presentato martedì scorso dal presidente statunitense, Donald Trump, accolto con favore da 8 Paesi arabi, dall’Autorità nazionale palestinese, dall’Unione europea e accettato da Israele per porre fine al conflitto e per mettere i terroristi di Hamas con le spalle al muro?

Se l’intento dello sciopero era politico, e sarebbe arduo sostenere il contrario, non si può far finta di non vedere che il traguardo della pace non è mai stato così vicino. E che gli autori del 7 ottobre 2023 -l’eccidio in Israele poco ricordato nelle manifestazioni, pur essendo all’origine dell’orrore in corso-, potrebbero essere presto fuori gioco per sempre.

Purché il progetto-Trump, appoggiato con voto anche dal Parlamento della Repubblica italiana, sia accettato pure da Hamas, come il mondo libero e pacifico sollecita.

È il vero nodo politico della questione palestinese.

(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)
www.federicoguiglia.com

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