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Diamo a Landini il premio Nobel della pace?…

Quante corbellerie ho ascoltato in tv su Gaza e Flotilla... I Graffi di Damato

Quattro furono a Napoli nel 1943 le giornate di rivolta popolare che portarono al ritiro delle truppe tedesche e aprirono la lunga lotta di resistenza a livello nazionale. Quattro sono state le giornate italiane di manifestazioni, una anche di sciopero generale, che Massimo Gramellini (nella foto) ha vissuto e raccontato “in altre parole”, su la 7 televisiva, come propedeutiche alla liberazione di Gaza. Come se avessimo fatto più noi italiani scioperando e scendendo nelle piazze per dare finalmente una prospettiva di pace, si spera, a Gaza. Altro che Trump e Netanyahu col piano annunciato alla Casa Bianca e col negoziato che comincerà domani in Egitto anche con i terroristi di Hamas.

Si spera che Maurizio Landini, il segretario generale della Cgil che si è intestato gli eventi italiani, non si monti la testa e non reclami il pieno Nobel della pace al quale invece aspira il presidente americano. E che è stato chiesto per Trump, guarda caso, proprio da Netanyau, anche se quello scienziato di geopolitica che qualcuno considera Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena, racconta negli studi televisivi che lo cercano tutt’altra storia, Che il premier israeliano, cioè, fa accordi con Trump su Gaza per poi sabotarli e proseguire una guerra che gli servirebbe a rimanere al governo nel suo paese. E/o per non finire in galera. Trump si lascerebbe cosi imbrogliare, come anche da Putin in Ucraina, o imbroglierebbe anche lui tutto il mondo fingendo di perseguire la pace per intascare il premio omonimo e poi lasciare le partite.

Per promuovere e santificare le “quattro giornate” da lui raccontate in un inconsapevole delirio nazionalistico, rappresentando l’Italia al centro del mondo per le sue piazze affollate e incontenibili per la causa di Gaza sostenuta invece altrove con inefficacia, Gramellini ha naturalmente liquidato come “marginali” i disordini che non sono mancati neppure a Roma. Con i soliti incappucciati che in Piazza Santa Maria Maggiore e dintorni per poco -scusate l’ironia- non hanno svegliato Papa Francesco che vi riposa. E hanno raggiunto la statua di Papa Giovanni Paolo II per scrivergli addosso del “fascista di merda”.

Ironia per ironia, meno blasfema, lasciatemi segnalare questi disordini al buon Pier Luigi Bersani. Che ci ha appena riproposto, in una intervista a Repubblica, la parodia della “mucca”, cioè della destra, da lui per primo avvertita inutilmente nella sede del Pd, al Nazareno, ben prima che Giorgia Meloni vincesse le elezioni e si insediasse a Palazzo Chigi, magari arrivando fra quattro anni anche al Quirinale. Dove già l’avvertono Dario Franceschini, Francesco Boccia e amici. C’è ben altro, caro Bersani, che si aggira per i corridoi del Nazareno estremizzando e confondendo la linea del Pd. E vanificando ogni sogno di alternativa.

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