“I marchigiani hanno apprezzato aver messo al centro i problemi del territorio”, la frase del confermato Acquaroli è di prammatica ma azzeccata. Il centrodestra non deve enfatizzare il risultato, pur vincente con uno scarto oltre ogni più rosea previsione: le elezioni locali sono così, intercettare umori e consensi in bacini con poca popolazione dispersa sul territorio è difficile e persino casuale, basta ricordare la Sardegna e la Val d’Aosta, nel suo peso lillipuziano. Il mondo che conta anche numericamente, purtroppo, va in direzione metropolitana. Inoltre, al Governo sta una partita nazionale complicata, con dati confortanti per occupazione e inflazione ma preoccupanti per export, salari, consumi: la strada per le prossime politiche è lunga, contorta e perigliosa. Le Marche non sono l’Ohio.
Per le sinistre perdenti, però, il risultato è negativamente importante e istruttivo. Intanto perché conferma che l’astensione, notevole nel caso marchigiano con un calo di 10 punti percentuali, non punisce più solo l’elettorato conservatore. Non è la prima volta che accade, ma questa è più significativa, poiché gli oppositori dovrebbero essere motivati a recarsi alle urne, hanno più ragione di cercare di cambiare le cose, mentre chi auspica la conferma si impigrisce (è il contrario della narrativa che dava Acquaroli avvantaggiato, valida ai tempi in cui chi amministrava gestiva determinanti poteri clientelari).
Le ragioni per cui gli elettori di centrosinistra sono rimasti a casa, nonostante fossero più motivati, sono facilmente rinvenibili nella confusione che regna sovrana: in generale e tra i progressisti. Le divergenze e dissonanze tra FDI, FI e Lega sono sopportabili perché i tre partiti mandano comunque avanti la baracca e ottengono per l’Italia risultati discreti, come abbiamo accennato; inoltre il primo dei tre tiene il boccino in mano, con una golden share che ogni sondaggio rafforza, e si sa che Giorgia comanda.
Nel cosiddetto Campo largo ci sono due partiti troppo alternativi tra loro, con il PD (scavalcato da FDI nel primato regionale) prevalente ma affetto da divisioni intestine evidenti, con forze estremiste di buon appeal, una leader poco carismatica e, in generale, la vocazione a buttarla in caciara globale. La concentrazione maniacale della politica progressista sulla crisi internazionale, la profezia della terza guerra mondiale (speriamo non auto-avverante), la tensione alternata tra Ucraina e Palestina hanno contagiato la campagna elettorale marchigiana al punto che lo sconfitto Matteo Ricci ha ridicolmente anticipato il riconoscimento dello Stato palestinese da parte della Regione da lui eventualmente presieduta.
Il riconoscimento, lo sappiamo, è una fesseria che unisce l’inconsistente valore simbolico alla demolizione degli accordi di Oslo, finendo per avallare la reazione spropositata di Israele. Ed è una questione che al marchigiano medio interessa ben meno della sanità, del lavoro, della mobilità locali, della Zes. “Un surreale treno per Gaza”, scrive il perfidamente lucido Mario Sechi. Quanto la confusione sinistra sia forte lo dimostra il mancato accoglimento dell’equilibrato appello di Sergio Mattarella, con l’ostinazione di proseguire verso Gaza. Che non è in provincia di Ancona.