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Escludere Israele dal Mondiale e dalle coppe europee?

Le guerre in Ucraina (da 3 anni e 7 mesi) e a Gaza (da quasi 2 anni) ripropongono l’antica questione: che si fa con gli atleti e con le Nazionali di quelle Nazioni che la guerra hanno scatenato? Il taccuino di Guiglia.

Contrariamente alle nostre romantiche, ma errate reminiscenze le Olimpiadi non hanno mai fermato una guerra. Né la “tregua olimpica” che valeva nell’antica Grecia per consentire ad atleti e al pubblico di partecipare in pace durante i lunghi periodi delle ostilità casalinghe, può fare da precedente. Essa era una sospensione solo parziale per territorio e avveniva alcuni secoli avanti Cristo: imparagonabile con la nostra epoca.

Però la storia pur così lontana almeno ci insegna che sempre i popoli e le istituzioni si sono posti il problema del che fare con le competizioni sportive in caso di guerra.

I due conflitti mondiali portarono alla “tregua olimpica” in senso inverso: le edizioni dei Giochi nel 1916, 1940 e 1944 furono annullate.

Ora le guerre in Ucraina da 3 anni e 7 mesi e a Gaza da quasi 2 anni – per non dire degli altri 54 dimenticati conflitti in giro per il mondo -, ripropongono l’antica questione: che si fa con gli atleti e con le Nazionali di quelle Nazioni che la guerra hanno scatenato?

Nel caso del calcio, lo sport più popolare del pianeta, a livello politico cresce la richiesta di escludere Israele dal Mondiale e dalle coppe europee. La decisione della Uefa è attesa a giorni e, secondo il Times, la maggioranza dei membri preposti sarebbe favorevole al divieto. Facile prevedere le polemiche in arrivo per la squalifica annunciata, che vede contraria soprattutto l’America di Donald Trump.

Ma all’indomani dell’invasione dell’Ucraina la Russia è stata esclusa dalla Fifa da tutte le competizioni. Nel caso di Israele la recente inchiesta delle Nazioni Unite che parla di “genocidio”, potrebbe diventare la leva formale per l’imminente decisione politico-sportiva.

Eppure, proprio nelle stesse ore il Comitato Paralimpico Internazionale ha ripristinato bandiere e inni per gli atleti di Russia e Bielorussia.

Un contrordine sorprendente che farà ancor più discutere, anche perché -accusano gli ucraini aggrediti- l’aggressore Vladimir Putin usa lo sport come strumento di propaganda.

Come se ne esce? In realtà la commistione tra sport e politica è sempre esplosiva e comunque fonte di ingiustizia. Pro e contro si equivalgono nelle buone ragioni.

Chi si oppone alle esclusioni, sostiene che gran parte degli atleti russi (o sportivi israeliani) non ha responsabilità alcuna rispetto alle scelte di Putin (o di Netanyahu). Molti di loro sono perfino contrari, ma nel caso dei russi figurarsi se osano dirlo.

Ribatte l’altra campana: chi gareggia, rappresenta il Paese che lo ha sportivamente formato e del quale è giustamente orgoglioso. Che si fa, se tale Paese, mentre i suoi sportivi sfidano gli avversari sul terreno di gioco, bombarda e uccide impunemente sul campo quelli che considera nemici?

Non esiste male peggiore di una guerra e chi la scatena deve essere sanzionato in ogni modo possibile. Fosse pure con l’esclusione dei suoi incolpevoli atleti. Affinché anch’essi prendano coscienza del grave delitto del diritto compiuto dai loro governanti.

Per chi suona la campana? L’importante è che suoni uguale per tutti.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova
www.federicoguiglia.com

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