“Due anni di campagna elettorale?”, si è chiesto il direttore Luciano Fontana sul Corriere della Sera. “Un grave rischio per l’Italia”, si è risposto scrivendone a un lettore deluso dalla solita, siderale distanza fra la inconcludenza, l’asprezza, il livore, l’odio – dice la premier Giorgia Meloni – del dibattito politico, persino nelle aule parlamentari create apposta per un confronto fra idee e programmi, quando ve ne sono davvero, e i problemi del Paese, che rimangono senza soluzioni. Le campagne elettorali di certo non aiutano, a cominciare da quella che Fontana avverte già iniziata, fra appuntamenti regionali e referendari, in vista del voto del 2027 per il rinnovo delle Camere. In attesa di un’alternativa indefinita, per ammissione di alcune parti che dovrebbero contribuirvi, o di una conferma invece definita per forza delle cose.
Perché, caro direttore, ti soffermi solo sui due anni che ci sono davanti? Dove metti quelli che ci sono alle spalle, o ancora sotto i piedi, fra le elezioni europee dell’anno scorso, altri referendum e altri voti regionali e comunali? Siamo sempre in campagna elettorale. Una lotta continua elettorale, direi, infarcita naturalmente di sondaggi che, alimentando paure e ambizioni, attizzano le fiamme come la tramontana e il maestrale.
È d’altronde un rischio, come lo chiama il direttore del Corriere, o un inconveniente inevitabile. Non se ne può materialmente prescindere, neppure riuscendo, quando capita, a raccogliere le elezioni di livello diverso da quello nazionale in almeno due scadenze l’anno. Non parliamo di una sola perché sarebbe troppo nel clima di “polverizzazione”, come ha scritto Fontana di questo autunno elettorale, cui è abituata la politica.
Che cosa fare, allora? Occorre cambiare, riformare. Ma più che leggi e regolamenti, occorre riformare il nostro rapporto, di elettori e di lettori e spettatori, con la politica. Occorre, per noi che ne scriviamo, attenerci al racconto, all’analisi, rinunciando alla propaganda e ad una certa partigianeria esasperata che finisce per alzare i toni dello scontro sino all’istigazione.
Vasto programma, diciamo sempre in queste circostanze scopiazzando l’ironia della buonanima del generale Charles De Gaulle. Ma, francamente, non ne vedo altri più realistici.
Aldo Moro si lamentò una volta, scrivendone sul Giorno, che il bene già ai suoi tempi non facesse notizia. O non la facesse come il male. Era ed è vero. E lo sarà sempre, temo, per il legno storto che è nella natura umana. Ma ciascuno nelle dimensioni che gli sono proprie dovrebbe sentirsi impegnato a porvi rimedio. So bene che è difficile, specie circondati come siamo da guerre vere, che tutti sono pronti ad aprire e nessuno alla fine riesce a fermare nei loro aspetti e contenuti feroci, non solo nominalistici, da vocabolario. Non entro nei particolari perché ne inorridisco. Ma non c’è altro modo per difendersene o sottrarvisi.