A proposito degli allarmi lanciati da Sergio Mattarella e Giorgia Meloni, l’Italia rappresenta invero il luogo occidentale ove più a lungo si è manifestato un fenomeno terrorista di matrice ideologica. Altrove la violenza durevole è stata sostenuta da ragioni etniche o religiose.
Soprattutto è utile considerare il nesso tra parole e pallottole. Può soccorrere a questo proposito il caso Biagi. Il suo omicidio si realizza in una fase in cui il terrorismo organizzato è stato sconfitto militarmente e politicamente. Ma, come sempre accade, la sua lunga scia ha depositato un brodo colturale nel quale l’attitudine alla violenza si alimenta producendo “cani sciolti” che la desiderano. Tanto più se emergono obiettivi involontariamente indicati da una esasperata polemica pubblica. Il suo “Libro Bianco” fu considerato dai detrattori fonte di macelleria sociale e lui stesso fu definito come l’anello di congiunzione tra governo e padroni. La critica al suo progetto legislativo fu sproporzionata se si considera la successiva sopravvivenza delle sue intuizioni anche in contesti dominati da coloro che lo avevano contestato.
Ora, come già allora, dobbiamo temere non il terrorismo organizzato che abbiamo conosciuto a cavallo degli anni ‘70 e ‘80 ma la presenza ancor più diffusa di menti infragilite dal continuo abbeverarsi sulla “rete”. La politica democratica tutta ha quindi il dovere di conoscere il contesto in cui si esprime, di tenere conto della benzina sparsa sul pavimento, di adottare quanto meno la proporzione tra il linguaggio e l’opinabile sostanza delle cose.
Certo, il nostro auspicio dovrebbe rivolgersi all’esempio di quelle democrazie in cui i maggiori contendenti politici condividevano l’approdo e si dividevano sui diversi modi con cui arrivarci. Ma ora anche in esse sono intervenute forze che rifiutano i principi occidentali per cui è l’approdo stesso ad essere motivo di profonda divisione.