I riflettori accesisi mediaticamente nel mondo sui due aerei italiani assegnati alle postazioni baltiche della Nato che hanno intercettato due caccia russi in Estonia costringendoli alla fuga hanno spiazzato probabilmente più Roma che Mosca.
Più Roma perché già il ruolo avuto nella intercettazione dei droni russi in Polonia da un aereo italiano aveva avuto il curioso effetto non di inorgoglire ma di imbarazzare il governo, credo più delle strutture militari. Che si sono rese immediatamente disponibili ad aumentare la partecipazione alla difesa aerea e ricognitiva del confine orientale della Nato, di cui peraltro l’Italia ha il comando ereditato dai tedeschi, ma hanno avuto difficoltà di carattere e provenienza politica nella esecuzione delle decisioni.
La stessa visita del ministro della Difesa, Guido Crosetto, già programmata per i prossimi giorni nelle postazioni Nato del Baltico ha finito per assumere, dopo l’accidente in Estonia, un rilievo forse scomodo per l’interessato. Che al pari del suo collega degli Esteri, Antonio Tajani, usa difendersi dagli attacchi politici delle opposizioni al governo sulla questione ucraina dicendo che l’Italia non è in guerra con la Russia, per quanto sostenitrice del paese aggredito. E neppure in guerriglia, avendo avuto l’accortezza di non mettere sul campo un solo stivale, se non quelli dei pochi volontari che vi sono accorsi spesso morendovi nell’imbarazzo della Farnesina di registrarne o diffonderne i nomi.
La cronaca, e non solo la storia nei tempi più lunghi che le appartengono e spettano, si prende qualche volta la rivincita sulle mistificazioni da prudenza, diplomazia e altro. O, se preferite, i fatti sono più stringenti delle parole.