Se non fosse stato per l’inglese incantevole che parla, l’ambiente colto che lo ha formato e lo stile garbato di stare al mondo, non si sarebbe capito chi tra i due – Carlo III del Regno Unito e Donald Trump d’America -, era il Re nella spettacolare cerimonia al Castello di Windsor.
Nella sua tre giorni di visita in Gran Bretagna, il presidente degli Stati Uniti è stato infatti ricevuto con tutti gli onori e oltre, ma pure con la segreta e regale speranza sull’onda dell’accoglienza riservata di fargli cambiare idea su due questioni delicate e decisive del nostro tempo. E qui si vede la mano e la testa di Carlo, che è un politico a tutto tondo nel senso alto e nobile della parola: interviene con diplomatico e solo apparente distacco su temi per i quali, invece, ha un’opinione forte e consolidata.
Il primo rimbrotto è arrivato sulla guerra di Vladimir Putin. E’ impossibile che, nella relazione speciale storicamente sempre coltivata fra Washington e Londra, cioè tra il figlio d’Oltreoceano che col tempo è diventato più grande e potente dalla famiglia di provenienza soprattutto da oltre la Manica, il discolo Trump si tiri fuori da quell’Occidente di cui la Gran Bretagna è parte fondante.
“Oggi, mentre la tirannia minaccia nuovamente l’Europa, noi e i nostri alleati siamo uniti nel sostenere l’Ucraina, per scoraggiare l’aggressione e garantire la pace”, le inequivocabili parole di richiamo pronunciate da Carlo III durante il banchetto di Stato. E chissà se nella successiva conferenza-stampa accanto al primo ministro, Keir Starmer, la confessione di Trump d’essere rimasto “davvero deluso da Putin, che perde più gente di quella che uccide”, sia stato l’effetto benefico dell’elegante, ma vigorosa tirata d’orecchie. “Siamo molto vicini a una guerra mondiale, Putin non rispetta la leadership Usa”, ha rimarcato.
Il secondo rimprovero l’ha illustrato lo stesso Starmer. “Bisogna aumentare la pressione su Putin”, ha detto. Aggiungendo, però, che occorre anche arrivare al cessate il fuoco da parte di Israele a Gaza e al rilascio degli ostaggi che Hamas detiene da due anni. Interessante notare che, se sulla vicenda dell’Ucraina Trump non ha dissentito, sul riconoscimento della Palestina annunciato dalla Gran Bretagna non è d’accordo, “è uno dei nostri pochi motivi di divergenza”. Significa, dunque, che il monito di Re Carlo sul dovere dell’unità occidentale sembra invece aver colpito nel segno, perché non rientra tra i punti di disaccordo, come altrimenti il presidente avrebbe precisato.
Il resto lo fanno gli affari, la cosa a cui Trump tiene di più, come testimonia il 10% di dazi inflitti alla Gran Bretagna contro il 15% all’Unione europea e il primato di investimenti reciproci fra le due sponde dell’Oceano (250 miliardi di sterline complessive). Tecnologia ed energia, industria e intelligenza artificiale, sicurezza: il vertice bilaterale non ha trascurato nulla negli accordi stipulati. Bisognerà ora vedere se Trump farà suo e come “il discorso del Re”. Il più europeo dei discorsi fatti da un britannico a un americano.
)Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)