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Nazionale? Il calcio è il proseguimento della politica con altri mezzi…

Divagazioni tra calcio e politica sulla Nazionale di calcio allenata da Gattuso.

Caro direttore,

alla vigilia della prossima partita della Nazionale di Gattuso, tra un US Open e il derby Sinner & Musetti che catalizza lo sguardo di tutti e una Serie A che si riprende il suo spazio, un’occhiata alle convocazioni l’abbiamo data. Nulla di sorprendente, i giocatori sono quelli. Bene l’attenzione agli attaccanti, bene la logica delle scelte. Il punto non è tanto chi c’è o chi manca: il nodo vero è il “senso” che vogliamo dare alla Nazionale.

Perché, diciamolo, l’Italia non è mai stata un laboratorio di modelli da copiare. Noi CT sul divano lo sosteniamo da tempo. Non siamo la Spagna da tiki-taka, né l’Argentina da tango furioso, né l’Inghilterra da bulldog, tantomeno la Germania da manuale. Non citiamo poi la Francia…

La nostra scuola, storicamente, è subdola e traditrice: ti fa credere di essere morta, e invece ti ribalta la partita al novantesimo. Non significa chiudersi in 11 dietro e buttare palloni a caso, ma neppure travestirsi da altro: niente catenacci mascherati da modernità, niente “calcio relazionale” o palleggi infiniti tanto per.

Qui la filosofia è semplice: solidità, reparti che comunicano, difesa come asset, campo corto, e velocità nel ribaltare il fronte. E poi sempre un colpo imprevisto, una giocata geniale, qualcosa che spiazzi. Brian Clough, il grande allenatore inglese, il vero ispiratore più o meno occulto di tanti allenatori del passato e del presente, predicava la semplicità dei reparti e l’arte dei collegamenti. Non serve inventarsi mondi paralleli: serve che i giocatori capiscano il copione in tre secondi.

E allora sì, il 4-4-2. Schema semplice, già digerito, corto, compatto, veloce. Lippi lo disegnò anche con i Pirlo e i Totti… Non sarà più di moda, ma pochi anni fa con semplicità e compattezza abbiamo vinto un Europeo. Dietro ci sono uomini di club già rodati: Di Lorenzo e Buongiorno, Bastoni e Dimarco. Più Mancini e Cambiaso se serve. In mezzo al centrocampo Barella e Tonali (con Ricci o altri a rotazione) danno corsa ed equilibrio. Politano a destra porta gioco e costanza, e un Frattesi a sinistra garantisce inserimenti e anarchia controllata e qualche gol…

Davanti non siamo al livello delle generazioni d’oro dei Riva e Boninsegna, dei Bettega e Rossi o dei Del Piero e Totti ma non siamo nemmeno a secco: Retegui come boa, Raspadori a girargli intorno, Kean per dare profondità, Lucca torre da piano B, e ali come Orsolini o Zaccagni o Chiesa se rientra per scardinare quando serve. E, perché no, anche uno spesso sottovalutato Bernardeschi, sempre per stare nella contea dì Nottingham, “alla Robertson di Clough” non il più lineare né il più disciplinato, ma capace di spaccare la monotonia con un colpo fuori copione.

Insomma, non siamo da buttare. Il portiere c’è (Donnarumma), la difesa pure, il centrocampo corre e l’attacco qualcosa può inventare. La questione è iniziamo a non tradire noi stessi. Perché l’Italia vince quando recita la sua parte: squadra apparentemente fragile, che invece sorprende, ribalta e resiste. La moda passa, il nostro cinismo resta.

Firmato: “Associazione CT sul divano”.

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