Tranne quella di Matteo Renzi e Giuseppe Conte (nonostante alcuni parlamentari pentastellati esprimano posizioni diverse) a Tommaso Cerno, direttore del “Tempo”, a Daniele Capezzone, direttore editoriale di “Libero Quotidiano”, all’editore Angelucci delle due testate non è finora ancora arrivata la solidarietà del resto del cosiddetto “campo largo” di sinistra per le minacce ricevute da gruppi anarchici e filo-Hamas.
Mentre il governo, a cominciare dal premier, Giorgia Meloni, e tutto il centrodestra hanno espresso il totale sostegno al diritto di libertà di stampa di testate giornalistiche coraggiosamente impegnate contro il fondamentalismo islamico e in inchieste sui pericolosi legami di esponenti pro-Pal limitrofi ad Hamas con una sorta di area grigia e ambigua collocata a sinistra, spicca in particolare l’assenza della solidarietà da parte dei vertici del principale partito di opposizione, il Pd. Oltre che, tranne eccezioni, l’assenza della solidarietà da parte della sinistra mediatica, che domina i cosiddetti giornaloni, sempre pronta a scendere in piazza per difendere il diritto alla libertà di stampa evidentemente solo per chi la pensa come i suoi esponenti.
Il punto, però, resta il principale partito di opposizione, i cui vertici sono chiamati a tirare una linea netta, dritta contro tutte le aree grigie, le zone di ambiguità dei pro-Pal nei confronti dei terroristi di Hamas.
Il Pd ha certamente già espresso parole di condanna contro Hamas e il massacro del 7 ottobre. Ma forse ora, ovviamente con tutte le differenze del caso e delle epoche politiche, è giunto il momento di fare come il vecchio Pci fece negli anni 70 con le Brigate Rosse sbarrando la strada con nettezza ad aree ambigue che fecero parlare Rossana Rossanda di “album di famiglia”.
Netanyahu, per quanto criticabile, non è Hamas. E la sinistra porta oggettivamente la responsabilità di certo relativismo culturale che mette di fatto sullo stesso piano l’unica democrazia del Medio Oriente con il regime sanguinario che ha preso in ostaggio il popolo palestinese. Un relativismo che purtroppo ora fa parlare di sé anche al Festival del cinema di Venezia.