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Russia

Come la Russia gongola dopo il vertice in Alaska

Reazioni e commenti dopo il summit Trump-Putin

Le evidenze parlano chiaro: non sono bastate tre ore di colloqui al bilaterale di Ferragosto nella base Joint Base Elmendorf-Richardson di Anchorage per addivenire ad una pur larvata parvenza di accordo.

Perché oltre le parole di circostanza che allo stato attuale lasciano intatto lo ‘status quo’ Trump non è riuscito nemmeno ad ottenere una sospensione dell’aggressione militare della Russia che continua a lanciare droni e a bombardare l’Ucraina e lo ha fatto anche nel momento stesso in cui Putin era seduto con lui per discutere potenzialmente di trattative di pace.

Al summit erano presenti i due Presidenti Trump e Putin, rispettivamente accompagnati dal Segretario di Stato Marco Rubio e dall’inviato speciale Steve Witkoff per gli USA e dal Ministro degli Esteri Sergei Lavrov (questa volta senza felpa CCCP) e dal consigliere Yuri Ushakov.

Dai rispettivi comunicati ufficiali delle due delegazioni – senza concedere domande alla stampa – sono uscite sostanzialmente frasi di circostanza per ratificare gli aspetti retorici e formali di un confronto che non avrebbe meritato un protrarsi dei colloqui.

Preannunciato con enfasi e atteso con grandi speranze l’incontro ha ratificato un sostanziale nulla di fatto.

“Non c’è accordo finché non c’è un accordo”, ha detto un criptico e laconico Trump, come a preannunciare un evento successivo che forse preveda la presenza del leader ucraino, con il quale si è lungamente intrattenuto al telefono all’esito di quella che – all’apparir del vero – assume le sembianze di una generica e non circostanziata trattativa. Da parte sua Zelensky l’ha presa bene, cercando di cogliere spiragli di ulteriorità negoziale e rilanciando su una sponda USA sia sul terreno della catastrofe umanitaria in atto, sia sul nodo cruciale della cessione dei territori. Che è purtroppo per lui il correlato speculare di quella politica espansiva propugnata da tempo da Trump, per inglobare Canada e Groenlandia: la regola etica è il do ut des.

Il fatto è che il leader di Kyiv confida in un sostegno europeo attualmente labile ed estraneo alle trattative ma soprattutto avversato dal Cremlino che definisce “nazisti” i documenti prodotti dall’U.E.: la Zakharova e Lavrov sono i veri puntelli della propaganda rascista del dittatore russo, affiancato ora da Medvedev, ora da Peskov, ora da entrambi.

Così Zelensky si è affidato ad uno stringato… “Bene l’apertura di Trump sulle garanzie di sicurezza”….Forse più convinto sui residui margini di speranza in un impegno del Capo della Casa Bianca che di fatto si è presentato al summit in Alaska da padrone di casa e dominus nella gestione delle famose carte che si vanta di possedere mentre nel fermo immagine della stampa internazionale ne è uscito ridimensionato e poco motivato.

“È importante che gli europei siano coinvolti in ogni fase per assicurare solide garanzie di sicurezza insieme all’America. Abbiamo anche discusso dei segnali positivi provenienti dalla parte americana in merito alla partecipazione alle garanzie di sicurezza dell’Ucraina. Continuiamo a coordinare le nostre posizioni con tutti i partner. Ringrazio tutti coloro che ci stanno aiutando”. Lo scrive su X il presidente ucraino Volodymyr Zelensky dopo la telefonata con Donald Trump. Ieri, nel volo verso Anchorage, Trump aveva detto che l’obiettivo è di dare garanzie di sicurezza all’Ucraina, “ma non sotto l’ombrello della Nato”, aggiungendo che “è l’Europa che dovrà prendere la guida”.

Esattamente ciò che il Cremlino non vuole e non accetta: l’Europa deve restare fuori da ogni trattativa, mentre le prospettive che il summit in Alaska apre per la normalizzazione dei rapporti bilaterali tra Russia e Usa e la responsabilità della pace è ora tutta nelle mani di Kiev che “deve scegliere tra concessioni territoriali e guerra”. Una condizione capestro che non risulta contestata da Trump.

Sul sito della storica agenzia russa Tass vengono ribadite condizioni ineludibili: in primis l’annessione dei territori controllati dalla Russia (come scrive Forrest Nabors, direttore del dipartimento di Scienze politiche dell’Università dell’Alaska Anchorage…. “L’Ucraina dovrà decidere se continuare il conflitto o cedere parte del territorio che potrebbe comunque perdere a causa di un’azione militare prolungata”). Poi la non interferenza dell’Europa se non per avvallare questo non indolore ridisegno della cartina geografica e l’esclusione dell’ingresso dell’Ucraina nella NATO. Di fatto una capitolazione per Kyiv e la dimostrazione che se questo viene scritto dopo il bilaterale in Alaska, il Cremlino conta sul disimpegno della Casa Bianca.

Dmitri Trenin, noto analista e membro del Consiglio russo per gli affari internazionali – intervistato sul Primo Canale della TV di Stato russa “a favore della Russia” la situazione creatasi dopo il vertice di Anchorage. Ripetendo quanto da mesi promuove anche la propaganda del Cremlino, Trenin sottolinea che il nemico ora è l’Europa che vuole ostacolare il percorso di pace avviato da Mosca e Washington; l’analista ci tiene a far notare che “a differenza che con l’Europa, la Russia ha sempre mantenuto un canale di comunicazione con gli Stati Uniti, almeno a livello di Stati maggiori e ministeri della Difesa, anche perché da questi contatti dipende la sicurezza del mondo”. Secondo Trenin, Trump “ha fatto bene ora a lanciare la palla dalla parte del presidente ucraino Zelensky”; a questo punto, un possibile scenario, a suo dire, è quello che vede “gli americani cercare di distanziarsi il più possibile dalla questione ucraina, di cui a Trump importa molto poco”.

Di fatto più lui diventa marginale, possibilista e ininfluente più viene elogiato dall’establishment del Cremlino.

Il primo round si conclude con un nulla di fatto: anzi, continuando l’aggressione militare di Mosca in una fase di presunte trattative si può apertamente parlare di significativi passi indietro per la tregua e per la pace.

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