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Che fine ha fatto Hezbollah

La fine delle ostilità con Israele lascia molti conti in sospeso: il fragile Libano si trova in guerra con sé stesso, per gestire quel che resta di un grande esercito agli ordini dell’Iran. L'approfondimento del giornalista Riccardo Cristiano su Appunti di Stefano Feltri

 

È cominciata la guerra tra Hezbollah e il Libano? Non si può dire, di certo siamo a uno snodo difficilissimo. E per capirlo, o immaginarlo, dobbiamo inquadrare ciò che è accaduto in queste ore, partendo dall’ultima guerra tra Hezbollah e Israele.

A novembre dello scorso anno Israele e il Libano hanno concordato un cessate-il-fuoco dopo mesi di bombardamenti israeliani che hanno distrutto Beirut Sud e il Libano meridionale, epicentri del movimento teocratico khomeinista costituito da migliaia di quadri politici e da un’ala miliziana tutta sciita, fedele per statuto agli ordini di Teheran.

CONSEGUENZE DEL CONFLITTO E SFINIMENTO DI HEZBOLLAH

Quella guerra di mesi ha eliminato la leadership di Hezbollah, ridotto enormemente la forza militare di questo partito-milizia creato dall’Iran come avamposto sul Mediterraneo e divenuto nel corso degli anni il volano per l’esportazione della rivoluzione khomeinista in tutto il mondo arabo, a un passo da Israele.

Per anni quello di Hezbollah è stato il più potente esercito esistente in tutti i territori arabi, con legami e presenza in Siria, Yemen, Iraq e oltre. Dall’8 ottobre 2023 Hezbollah ha voluto proseguire la sua guerra a bassa intensità contro Israele come sostegno ad Hamas: guerra infruttuosa per Gaza, ma nell’agenda iraniana serviva a presentarsi come interlocutore indispensabile per la definizione del futuro mediorientale.

Poi un’operazione di intelligence ha consentito a Israele di entrare in strumenti di comunicazione della milizia, eliminarne molti esponenti, scoprire la loro rete, affondare il colpo.

IMPATTO UMANITARIO E SOVRANITÀ LIBANESE

I profughi di guerra sono stati circa un milione e mezzo, su un totale di cinque milioni di libanesi. Il conto lo ha pagato tutto il Paese.

Il cessate-il-fuoco prevedeva che l’esercito libanese avrebbe immediatamente confiscato tutte le armi sul suolo e nel sottosuolo dell’intero Libano meridionale, quello più vicino a Israele, poi nel resto del Paese.

Vista dal mondo era la fine di una potentissima milizia, vista da Beirut era il ritorno del Libano come Paese libero e sovrano, padrone della sua strategia di difesa nazionale, capace di decidere della guerra e della pace, scelte che da anni erano nelle mani di Hezbollah. Ma entrambi, il mondo e il Libano, sapevano che quelle armi, un arsenale enorme che Israele aveva ridotto ma non distrutto, non erano di Hezbollah, ma dell’Iran.

DISARMO E DILEMMA POLITICO

Così da dicembre un rinnovato esercito libanese, che ha al suo interno molti soldati che provengono dalla comunità sciita, quella a cui appartiene Hezbollah, ha cominciato a individuare i depositi di armi presenti nel sud del Libano e a confiscarli, quindi a prendere il controllo dei bastioni del partito khomeinista. Ma l’operazione non si è ancora conclusa, il lavoro è impressionante, la rete miliziana è quasi inestricabile.

Col tempo le pressioni americane su Beirut sono aumentate: avete preso un impegno, disarmare Hezbollah; senza di questo non potete avere un ritiro israeliano completo dai vostri territori e la cessazione delle incursioni aeree che quotidianamente eliminano leader miliziani di Hezbollah.

DECISIONE GOVERNATIVA E CONTRAPPOSIZIONI

Così il governo ha deciso di procedere: si è riunito ed ha deciso che entro l’anno l’esercito concluderà il lavoro, sulla base di un calendario definito dallo stesso esercito e che sarà presentato al governo entro l’anno. I ministri sciiti, molto vicini a Hezbollah e al suo alleato sciita Amal, hanno lasciato la riunione del governo, senza però dimettersi.

Ma Teheran ha preso la parola ufficialmente e il suo ministro degli Esteri ha detto che la decisione è sbagliata e fallirà.

Il ministro degli Esteri libanese ha replicato: questo è un affare interno libanese, la vostra è un’ingerenza. Per la prima volta il Libano pretendeva di essere tornato ad essere uno Stato sovrano. Ciò che per Teheran non è: l’investimento in Hezbollah è stato miliardario, enorme.

UNA TRAPPOLA PER CHI?

Teheran nei suoi complessi negoziati o scontri con Washington intende usare ciò che resta di Hezbollah come arma negoziale, sebbene sia evidente che a Teheran non ci sia una linea sola. E così ecco il fatto allarmante, il segnale: l’esercito libanese scopre un deposito mai individuato, neanche da Israele, nel sud del Libano. Una pattuglia si muove per confiscarlo ma qualcosa non va: un’esplosione e almeno sei soldati muoiono.

Una trappola, proprio poche ore dopo la decisione governativa? La versione ufficiosa che circola in queste ore dice che si trattava sì di una trappola, ma per gli israeliani. Ma da novembre chi entra nei depositi illegali è l’esercito libanese, a volte con l’Unifil, il contingente ONU di stanza nel sud del Libano.

HEZBOLLAH E LE ALLEANZE

Molti giornali libanesi sostengono che Teheran abbia detto a Beirut che un canale negoziale va stabilito, l’Iran è ancora in Libano e non si può smantellare Hezbollah senza parlare con chi guida e decide per conto di quel partito. Possibile che accada, ma è chiaro che se l’operazione fallisse Israele potrebbe nuovamente occupare il sud del Libano.

Hezbollah potrebbe sperare di trovare in questo una bombola d’ossigeno, una giusta causa per riprendere la sua lotta armata, “resistenziale”. Ma forse sa anche che deve fare i conti con l’antipatia che ormai quasi tutto il Libano manifesta nei suoi confronti: il Paese è precipitato in una crisi economica senza fondo da prima della guerra, Hezbollah il 4 agosto 2020 ha poi distrutto anche il porto, cioè il volano dell’economia nazionale, rendendo inagibili gran parte delle case di Beirut.

LA LUNGA STRADA VERSO LA SOVRANITÀ

Il Libano sembra proprio aver scelto un’altra strada, ma l’esplosione di queste ore dice che per tornare un Paese sovrano la strada è ancora lunga, i sogni non si realizzano in pochi mesi.

La questione delle armi resta il nodo intorno al quale si decide non solo quali carte può usare l’Iran nel suo negoziato o nel suo scontro con gli Stati Uniti. Si decide anche se e quanto il Libano esista, e se possa farlo con un partito che le armi le ha anche nel resto del Paese.

Molti a Beirut ricordano il 7 maggio 2008, quando le armi di Hezbollah furono puntate contro i libanesi, portando all’occupazione di molti quartieri di Beirut ostili al movimento khomeinista, con devastazioni di uffici, abitazioni e numerosi feriti. Poi un loro alleato fu eletto Presidente della Repubblica.

Ma Hezbollah ha la forza, l’intenzione di replicare quello scenario? Nelle ore trascorse si sono registrati amplissimi cortei di miliziani in motocicletta, i quadri di Hezbollah mobilitati contro il governo, ma all’interno dei quartieri di Hezbollah. Perché l’esercito aveva subito preso posizione in città; l’esercito è la novità, forse un embrione di Stato che ancora stenta ad affermarsi, ma che molti sostengono come speranza di un futuro diverso.

UN PARTITO IN TRANSIZIONE?

Di certo in queste ore Hezbollah ha reso evidente che non è pronta a mutamenti. Beirut sa che se nelle prossime settimane si decidesse di andare in tutto il Libano a sequestrare le armi custodite dal partito khomeinista si rischierebbe una nuova guerra civile libanese, e sa che nell’esercito ci sono molti soldati sciiti.

Per tornare sovrano il Libano come può sciogliere questo nodo? Hezbollah potrebbe cogliere l’occasione per trasformarsi in un partito libanese, non più iraniano, in vista delle elezioni politiche del prossimo anno?

Ce ne sarebbe bisogno perché il Libano, al di là dell’eccezionalità del governo attuale, nato in un frangente disperato come la sconfitta militare di Hezbollah e la devastazione di gran parte del Paese, è in mano a una casta corrotta e autoreferente.

Questa casta ha dissipato le risorse nazionali riducendo la larga maggioranza della popolazione sul lastrico, con una politica di rapina precedente l’epoca delle maggioranze guidate da Hezbollah e proseguita dopo.

Per un partito radicato tra quegli sciiti che sono stati e restano in gran parte gli esclusi, incalzare il governo sulla creazione di un sistema che chiuda l’epoca dell’egemonia delle grandi famiglie, del feudalesimo confessionale, sarebbe un modo nuovo di interpretare la questione sciita: non sottoponendoli agli interessi miliziani dei pasdaran, ma proponendoli come protagonisti di un rinnovamento nazionale, come fu tanti anni fa ai tempi dell’imam Musa Sadr, amatissimo dalla piazza sciita e stimato negli ambienti culturali di tutte le comunità.

LA SFIDA DEL PARADIGMA CONFESSIONALE

Dunque si tratterebbe di contribuire al rinnovamento anche del paralizzante sistema confessionale, facendo degli sciiti un soggetto arabo pronto al confronto e all’incontro con tutti gli altri, non cittadini a cittadinanza limitata, salvo qualche notabile assunto nella casta.

Ma questo, che porterebbe gli arabi sciiti a proporsi nel rinnovamento del discorso non solo libanese ma di tutto il Levante arabo, sembra proprio fuori dall’orizzonte di un gruppo dirigente chiuso nei paradigmi teocratici e miliziani del khomeinismo e del suo pensiero apocalittico.

Salvo cambiamenti a cui pochi sono disposti, oggi, a credere. La questione di un’effettiva sovranità nazionale libanese è un nodo che ha cominciato ad intricarsi negli anni Ottanta, quando è nata Hezbollah grazie all’invasione israeliana del sud del Libano e all’errore di lasciarla in armi proprio perché combatteva per liberare il Sud, consegnandole l’esclusiva di questa resistenza.

Poi il sud, nel 2000, è stato liberato, Israele si ritirò, ma Hezbollah grazie ai suoi alleati è rimasta in armi, è diventato uno Stato nello Stato più grande dello Stato. La matassa è cresciuta sempre di più.

(Estratto da Appunti di Stefano Feltri)

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