Per quanto i pompieri, pochi da ambe le parti, si diano un gran daffare per spegnere l’incendio, le parole di fuoco che il governo e la magistratura si stanno scambiando lasciano intendere una cosa: che toccherà agli italiani risolvere il conflitto tra poteri dello Stato in pieno e fumantino corso, quando essi saranno chiamati a referendum sulla riforma costituzionale promossa dal centrodestra e osteggiata dalla parte prevalente del centrosinistra. Una riforma nata per separare le carriere tra giudici e pubblici ministeri e depotenziare il correntismo nel Consiglio superiore della magistratura, destinato a essere sdoppiato e con membri sorteggiati anziché, come oggi, eletti.
Ma da qui all’ora X del voto dei cittadini, i quali finiranno così per certificare chi aveva più ragione dell’altro, lo scontro fra giustizia e politica, che dal 1992 con l’inchiesta Mani pulite in poi non è più una novità per nessuno, continuerà all’insegna dell’incomunicabilità.
L’ultimo colpo è della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che va all’assalto dell’opposizione per interposta magistratura: “Ormai hanno un’unica strategia e speranza: provare a liberarsi degli avversari per via giudiziaria, perché alla via democratica hanno rinunciato da un pezzo”.
Lo spunto è la denuncia contro il governo da Verdi e Sinistra alla Cpi (Corte penale internazionale) “per complicità nei crimini internazionali commessi a Gaza”. Commenta la presidente del Consiglio: “Tirano in ballo il dramma di Gaza come se perfino questo fosse colpa nostra”.
Intanto è dura la replica dell’Anm (l’associazione delle toghe): “I magistrati non fanno politica, fanno il loro mestiere nonostante insulti, intimidazioni e una campagna di delegittimazione che danneggia i fondamenti dello Stato democratico”. Replica anche la leader del Pd, Elly Schlein: “Insinuare che i giudici agiscano per disegno politico è atteggiamento eversivo”.
Ma, al di là di Gaza, il vero detonatore dell’ultima polemica è il “caso Almasri” con la richiesta dell’autorizzazione a procedere da parte del Tribunale dei ministri nei confronti di Nordio, Piantedosi e Mantovano (ma non di Giorgia Meloni, che ha polemicamente rivendicato le scelte dei suoi colleghi) per omissione in atti d’ufficio, concorso in favoreggiamento e in peculato.
In ballo c’è quel pasticciaccio brutto del rimpatrio del libico Almasri con volo di Stato, nonostante la richiesta di arresto da parte della Cpi per crimini di guerra e contro l’umanità. Il governo sottolinea di aver agito nell’interesse dello Stato e della sicurezza degli italiani.
Da qui discende l’accusa di politicizzazione “di alcune decisioni della magistratura” in particolare sull’immigrazione. Il riferimento è alle toghe che, interpretando le norme, si sono assunte loro il compito di stabilire quali siano i Paesi sicuri d’origine dei migranti richiedenti asilo.
Prerogativa che invece il governo considera tipica ed esclusiva della sfera politica, la sola che a livello istituzionale abbia gli strumenti informativi e diplomatici per poter e dover decidere sul tema.
(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)