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Giustizia, sanità e istruzione: troppa ideologia, poco servizio

La sinistra accusa, la destra replica. Ma su questi servizi mancano fantasia, innovazione e responsabilità. Il corsivo di Battista Falconi

 

Ci sono almeno tre settori pubblici vittime di una chiave interpretativa che distorce il relativo dibattito in un improduttivo senso ideologico: giustizia, sanità e istruzione. Questi tre comparti hanno una mera finalità di servizio: assicurare ai cittadini una società e una vita sicure, rispettose delle norme di convivenza, in cui la salute sia garantita al meglio e in grado di formare i giovani in senso professionale e culturale. Per ottenere tali obiettivi, occorrono due cose: finanziamenti per le strutture che se ne occupano e persone che vi lavorino consapevoli delle finalità e quindi disponibili all’impegno necessario.

Queste banalissime e, presumiamo, condivise considerazioni nel chiacchiericcio continuo che copre i tre comparti non hanno quasi parte. Di giustizia si parla per dire che governo e magistrati hanno ingaggiato una guerra di poteri, di cui la sinistra imputa la colpa al primo e la destra ai secondi. Sugli ospedali la critica da sinistra dice solo che sono in crisi, non riescono ad accogliere le richieste di pronto soccorso e che per surrogare le carenze si ingrassano interessi privati di laboratori, cliniche e gettonisti; la destra si difende snocciolando misure che mostrerebbero il molto fatto e annunciandone altre che completeranno la risoluzione dei problemi. Per quanto concerne la scuola e l’università, si lamenta la crisi in termini di autorevolezza addossando la colpa alla didattica corrente e alla mancanza di risorse, di nuovo con il governo che se ne lamenta rintuzza le accuse.

Personalmente, le tesi di maggioranza ci paiono almeno altrettanto credibili di quelle dell’opposizione: è vero che questi servizi sono insoddisfacenti ma lo è anche che si stanno attuando programmi di assunzione e finanziamento, dai due miliardi per assunzioni in sanità ai 13 milioni annunciati dal ministro Valditara per l’insegnamento dell’italiano, per stare agli ultimissimi. Possiamo però dire che non riteniamo questo il percorso con cui modernizzare e adeguare i servizi pubblici a un’Italia davvero moderna, al passo con le mutate esigenze dei tempi e delle persone?

Lo scetticismo poggia intanto sul meccanismo dialettico, che criticando lo stato di fatto spinge a migliorarlo mantenendolo e non cambiandolo; esclude, quindi, lo sforzo di fantasia e immaginazione innovativa necessario per un quadro sociale in mutamento così profondo (si pensi solo al dato anagrafico e demografico). Ancor più pesa poi l’assenza, dal confronto, della responsabilità personale. Se il medico, il magistrato e l’insegnante si considerano dipendenti pubblici nel senso deleterio e riduttivo stigmatizzato e caricaturato da tanta letteratura, russa in primis, e si agisce come se i servizi esistessero a beneficio di chi vi lavora e non dei cittadini che ne sono fruitori, la dinamica lamentela-finanziamento non fa che perpetrare o peggiorare le cose.

Un’altra banalità, ovvio: sappiamo perfettamente che l’appello al senso civico non sortisce alcun effetto, ma il non farvi neppure cenno da parte di maggioranza e opposizione è demoralizzante e conferma il sospetto del fine elettoralistico dei dibattiti su questi temi. Come su tanti altri, dalla cultura alla Rai, dai trasporti all’ambiente. L’Italia è una nazione meravigliosa ma assolutamente irresponsabile. E alla sua leadership politica pare vada benissimo così.

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