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Segnali misti dall’economia Usa: la Fed verso il taglio dei tassi?

Nonostante la crescita dell'occupazione inferiore alle aspettative, non si può dire che il mercato del lavoro statunitense versi in cattive condizioni: l’economia continua a creare nuovi posti di impiego. L'analisi di Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm.

La settimana scorsa, il Bureau of Labour Statistics ha pubblicato il rapporto mensile sui Non-Farm Payrolls (NFP), indicatore economico chiave che misura la variazione del numero di lavoratori dipendenti negli Stati Uniti, escluso il settore agricolo. Il report di luglio ha evidenziato una crescita dell’occupazione leggermente inferiore alle attese e, soprattutto, ha rivisto al ribasso, in modo piuttosto marcato, le stime dei dati di maggio e giugno, come mostra il grafico sotto. Certo, nonostante le revisioni, non si può dire che il mercato del lavoro statunitense versi in cattive condizioni: l’economia continua a creare nuovi posti di impiego, il tasso di disoccupazione rimane contenuto e la crescita salariale si mantiene solida. Tuttavia, sembra che il rallentamento sia più rapido di quanto si potesse immaginare anche solo un paio di settimane fa.

Dal momento che i dati relativi al mercato del lavoro sono tra gli elementi principali che determinano anche la direzione della politica monetaria, è lecito chiedersi se, avendo a disposizione anche gli ultimi NFP, la Federal Reserve avrebbe comunque optato per lasciare i tassi d’interesse invariati. La decisione della scorsa settimana, infatti, oltre che dall’incertezza legata all’impatto delle tariffe sui prezzi, potrebbe verosimilmente essere stata motivata anche dalla resilienza dell’economia Usa. Così gli investitori hanno reagito agli ultimi dati sulle buste paga del settore non agricolo iniziando a prezzare con maggiore convinzione un nuovo taglio dei tassi in settembre.

La scorsa settimana è stato pubblicato anche il dato relativo al Pil Usa del 2Q 2025, che ha messo a segno un +3% su base trimestrale, nonostante la volatilità del commercio estero a causa dall’instabilità delle politiche commerciali e il rallentamento della crescita della domanda interna, scesa all’1,2%. Nel frattempo, l’inflazione si trova ancora al di sopra dell’obiettivo del 2% stabilito dalla Fed, oscillando tra il 2% e il 3%, né è possibile escludere una nuova accelerazione innescata dalle tariffe. Tuttavia, non manca chi, come il governatore Waller o lo stesso Powell prima del Liberation Day, sostiene che queste ultime rappresentino un aumento dei prezzi una tantum e che i policymaker dovrebbero riuscire a guardare oltre. Indebolimento del mercato del lavoro, rallentamento della domanda interna e inflazione sopra il target: tutti gli elementi sembrano rafforzare l’ipotesi di un taglio dei tassi da 25 punti base in settembre, per quanto le incertezze sui dazi non siano del tutto archiviate.

Anche in uno scenario macroeconomico aleatorio, però, le aziende americane sembrano mantenere la rotta: secondo i dati di FactSet, oltre l’80% delle società dell’S&P 500 che ha già pubblicato i risultati ha riportato utili superiori alle attese, mentre il 79% ha battuto le stime sui ricavi. Una percentuale superiore alla media storica, che contribuisce a spiegare l’ottima performance dell’azionario Usa nel secondo trimestre. Analizzando nel dettaglio il rapporto tra revisioni al rialzo e al ribasso sugli utili da parte degli analisti (vedi grafico sotto), emerge come, dopo il crollo di inizio di aprile e una fase di assestamento, le stime sugli utili delle aziende americane siano state riviste al rialzo, segno che l’impatto dei dazi potrebbe essere più contenuto del previsto.

I risultati del secondo trimestre offrono spunti interessanti, soprattutto sul fronte della redditività aziendale: tra le imprese che hanno già pubblicato, si osserva un incremento dei margini su base annua, che ha sostenuto una crescita a doppia cifra degli utili. Ma, dietro i titoli positivi, il quadro è più sfumato: se tre settori – finanza, tecnologia e comunicazione – hanno registrato un’espansione dei margini, altri sette – tra cui beni di consumo, sanità ed energia – hanno riportato margini in calo, indice che alcune aree dell’economia americana sono ancora sotto pressione. Dunque, i guadagni sembrano essersi concentrati soprattutto tra le Big Tech e i giganti dei servizi finanziari e, sebbene gli utili siano in generale superiori alle attese, il calo dei margini in alcuni settori lascia intendere che gli effetti del rallentamento dell’economia – e dell’instabilità politica – si stiano cominciando ad avvertire in diversi comparti.

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