Punti chiave:
- La Svizzera affronta un dazio statunitense del 39%, superiore al 15% imposto all’UE, con un impatto economico stimato all’1% del PIL.
- La fiducia svizzera nella capacità di negoziare con l’amministrazione Trump si è rivelata illusoria, evidenziando i limiti della sua neutralità.
- La mancanza di un’azione collettiva con l’UE e altri paesi rende la Svizzera vulnerabile in un contesto di politica economica mercantilista.
La Svizzera, paese di 9 milioni di abitanti noto per la sua ricchezza e neutralità, sta affrontando una dura lezione: la sua strategia di dialogo accomodante con l’amministrazione Trump non ha evitato un dazio del 39% sulle esportazioni, ben più alto di quello imposto all’UE. Questo colpo, che potrebbe costare l’1% del PIL, ha scosso politici e aziende, con l’industria farmaceutica, come Novartis, in allerta per possibili dazi aggiuntivi del 25%. “I media locali hanno paragonato la situazione alla sconfitta svizzera a Marignano nel 1515 contro i francesi”, un’iperbole che riflette l’umiliazione nazionale.
Nonostante la solidità economica elvetica, con un mercato azionario che ha rapidamente assorbito le perdite iniziali, il dazio sembra un preludio a ulteriori concessioni. La Svizzera sta già offrendo incentivi, come l’acquisto di energia statunitense, seguendo l’esempio dell’UE. Tuttavia, la fiducia dei leader svizzeri, come la presidente Karin Keller-Sutter, nella loro capacità di persuadere Trump si è sgretolata. “La presidente ha persino rivendicato un ruolo nel ridimensionamento iniziale dei dazi ad aprile”, ma ora quella presunta influenza è svanita, spingendo alcuni a chiedere un riallineamento politico verso l’UE.
Il problema di fondo è che la Svizzera ha sottovalutato la natura mercantilista della politica economica americana. “La realtà umiliante è che forse non si tratta di una negoziazione, ma di una prova di forza che Berna non poteva vincere”, scrive l’autore, evidenziando come la neutralità e la dipendenza dagli Stati Uniti si siano rivelate un punto debole. Gli Stati Uniti considerano la Svizzera un manipolatore valutario, criticando il suo surplus commerciale di 38 miliardi di dollari, in gran parte legato alla raffinazione dell’oro.
L’assenza di un’azione collettiva aggrava la situazione. Un proposta del Kiel Institute suggeriva una coalizione di paesi, tra cui UE, Canada e Corea del Sud, per contrastare i dazi americani, ma la Svizzera, come altri, ha preferito negoziare da sola, sperando in un accordo migliore. Questo approccio frammentato riduce le possibilità di successo. Per il futuro, l’industria farmaceutica potrebbe spingere per un mercato europeo più integrato, mentre i politici devono riconoscere che il confronto con gli Stati Uniti è solo all’inizio. La Svizzera, abituata a schivare i conflitti, scopre che la neutralità non è una corazza contro il protezionismo.
(Bloomberg Opinion, Lionel Laurent, 5 agosto 2025, 05:00 GMT+2)