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Quale sarà l’impatto dell’intesa Trump-von der Leyen sull’economia italiana?

L'accordo Usa-Ue, il contesto politico e le prime stime sugli effetti economici. Il Taccuino di Guiglia

Quale aliquota e quali esenzioni, ecco la grande incognita per l’Europa divisa tra chi propugna una risposta dura e pura all’imposizione impositiva annunciata da Donald Trump e chi, la maggioranza dei governi compreso il nostro, punta a una soluzione di compromesso. Intanto lui la prende comoda, volando in Scozia per giocare a golf, dopo aver lanciato la sua pallina di nuove tasse per chi esporta negli Stati Uniti a partire dal 1° agosto, cioè fra poche ore.

Siamo, dunque, al conto alla rovescia e si profila un dazio al 15%, che per i prodotti in allumino e acciaio salirebbe al 50. È quanto assicurano a Bruxelles. Ma è un dato di fatto o un inconfessabile auspicio? Poco importa: l’ultima parola e la firma saranno comunque di Trump, che dell’imprevedibilità ha fatto la sua “cifra” politica.

L’ipotesi data per acquisita secondo il modello concordato tra l’America e il Giappone, il 15% appunto, in realtà suona tanto consolatoria per l’Ue quanto pesante anche e soprattutto per l’Italia.

Con quel riconosciuto scaltro negoziatore qual è il presidente statunitense, che era partito minacciando di voler applicare percentuali doppie (e al Canada la tariffa decisa è del 35%), trovare un’intesa sul 15 può sembrare un esito senza vincitori né vinti.

Ma, a parte che l’accordo raggiunto dalla Casa Bianca con la Gran Bretagna è del 10% -e l’Europa a questo numero puntava, dopo essere a sua volta partita dall’idea dello zero a zero di dazi nel reciproco interesse-, con l’aliquota al 15 l’Italia registrerebbe un danno di 23 miliardi di euro, secondo la simulazione del centro studi Confindustria. Solo in parte (10 miliardi) compensato dalle maggiori esportazioni tricolori verso altre aree del pianeta. Chiamasi “stangata”.

In sostanza, il “made in Italy” perderebbe un terzo secco delle sue attuali vendite nel mercato nordamericano. Con l’ulteriore rebus del tasso di cambio, una sorta di dazio occulto che già favorirebbe l’America, potendo beneficiare della svalutazione del dollaro.

E allora, se l’Ue s’accontenta di un 15 pur di non ricorrere a contromisure da bazooka e non finire male parole col suo principale alleato d’Oltreoceano -e sempre che Trump tra un tiro e l’altro in buca acconsenta-, il vero braccio di ferro riguarda le possibili esenzioni.

Oltre ai settori sensibili ad alta tecnologia (dall’industria aerospaziale al comparto sanitario-farmaceutico), siamo in pieno “made in Italy”. Dall’abbigliamento all’alimentare, dal vino alla pasta, al formaggio, all’olio è lunga la lista dei prodotti molto apprezzati e comprati in America, e per i quali ottenere eccezioni. Ciò impone il doppio intervento politico di Bruxelles (Ursula von der Leyen oggi incontra Trump: faccia a faccia decisivo?) e di Roma (Giorgia Meloni).

Per ragioni diverse, ma convergenti le due leader alla guida rispettivamente della Commissione europea e del governo italiano hanno argomenti forti ed economie solide per trattare col presidente.

È ora di farli valere: intesa non può significare, per quieto vivere, resa alle prepotenze e ai capricci altrui.

(Pubblicato su L’Arena di Verona e Bresciaoggi)
www.federicoguiglia.com

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