Sono due i gravi indizi del disimpegno e perfino del disinteresse senza precedenti da parte dell’America per l’Europa. Il primo è l’armiamoci e partite decretato da Donald Trump per la guerra in Ucraina, nel senso che gli Stati Uniti consegneranno, sì, le armi per l’indispensabile difesa di Kiev dagli attacchi quotidiani di Vladimir Putin, ma a spese dell’Unione europea. Pagheremo noi tutti, dunque, la fornitura statunitense di missili Patriot. E la gestione sarà della Nato.
Già tutto questo la dice lunga sullo spirito – puramente mercantile – con cui il presidente nordamericano guarda al Paese aggredito dal 24 febbraio 2022 e ai suoi teoricamente e tecnicamente ancora “alleati” occidentali. Chiamati a saldare il conto del ristoratore ed è già tanto che Trump abbia deciso (salvo imprevedibili, come l’uomo, marce indietro) di continuare ad assicurare la sopravvivenza dell’Ucraina. Perché per settimane l’Ue aveva paventato il rischio del “basta armi americane” a Kiev. Si vede che la delusione per il niente ottenuto dall’amico Vladimir nonostante le lunghe conversazioni con lui al telefono – e gli ulteriori 50 giorni di tempo che gli ha dato per un’intesa, pena sanzioni economiche -, lo ha riportato coi piedi per terra. “Parla gentilmente e poi la sera bombarda”, s’è accorto l’illuso della Casa Bianca, che era pronto a fermare la guerra “in 24 ore”. Verrebbe da ridere, se non fossero, invece, lacrime amare per gli ucraini. Specie dopo che l’alta rappresentante dell’Ue, Kaja Kallas, rilancia la sconvolgente accusa: la Russia userebbe anche armi chimiche contro gli ucraini.
L’altro indizio sulla distanza sempre più marcata tra le due sponde dell’Atlantico è il dazio esorbitante (30%) che il presidente statunitense intende applicare dal 1° agosto ai prodotti del Vecchio Continente esportati negli Stati Uniti. Inutile fare gli indovini: spara alto per negoziare basso? O siamo al classico “o la va o la spacca”? Vuole l’intesa o ricatta?
La verità è che Trump la sua guerra commerciale l’ha comunque dichiarata, a prescindere da come finirà e da come reagiranno gli europei, cornuti (per l’Ucraina) e tassati.
Non occorre, allora, il necessario terzo indizio per avere la prova che mai l’America ha dimostrato tanta e tale indifferenza per la culla occidentale, che è la sua stessa culla.
Si dirà che è sempre esistita una forte componente isolazionista nella politica statunitense. Come la fisarmonica, essa si estende o restringe a seconda dei tempi, dei presidenti, dei partiti repubblicano o democratico con riflessi sulla politica estera e sul ruolo americano nel mondo.
Ma se si proclama il “prima l’America” e si ammanta di protezionismo lo storico e libero rapporto con l’Europa. Se ci si fida e si confida di più in Putin – salvo disinganni – che non in Ursula von der Leyen. Se non si ascolta quel che dicono i tre principali Paesi europei guidati dai leader delle tre emme – Merz, Macron e Meloni -, l’isolazionismo va oltre la sua tradizione.
L’America che rompe con l’Europa non sarà più l’America, mentre l’Europa continuerà a essere l’Europa.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova
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