La dichiarazione di guerra commerciale ha una data – a partire dal 1° agosto 2025 – e un obiettivo: tassare del 30% le esportazioni europee dirette agli Stati Uniti.
Eppure, più ancora del sorprendente e stratosferico importo dei dazi annunciati, della lettera tra i due presidenti – il mittente statunitense, Donald Trump, e la destinataria europea, Ursula von der Leyen – colpisce il tono. È come se un vendicativo inquilino della Casa Bianca si rivolgesse non già al suo principale e storico alleato al di qua dell’Atlantico con cui tutto condivide (dall’amore per la libertà, fino a ieri anche economica, alla comune visione occidentale del mondo), ma a un nemico ammonito e minacciato. Al quale non lascia neppure margini di manovra.
Se reagirete – gli dice -, aumenteremo le imposte per l’importo equivalente, cioè in aggiunta al 30%. Se proverete a esportare in America attraverso Paesi terzi – lo avverte -, “le merci transitate saranno soggette a quella tariffa maggiore”. Se l’Ue o le sue aziende decideranno di costruire o produrre negli Stati Uniti – unica concessione al “nemico” -, “faremo tutto il possibile per ottenere le autorizzazioni nel giro di poche settimane”.
Com’è buono, lei, direbbe Fantozzi di lui, il Trump che s’è messo in testa di bastonare a suon di dazi i parassiti europei, come li ha chiamati e considera. Perché almeno questo non gli si può rimproverare: il presidente dice quello che pensa, anche quando non pensa a quello che dice.
Intanto, il danno per il “made in Italy” potrebbe aggirarsi sui 35 miliardi all’anno (calcoli-Cgia, artigiani e piccole imprese di Mestre).
Ma è un ultimatum o un gioco d’azzardo? Trump vuole punire i parassiti o, alzando incredibilmente la posta, intende, in realtà, negoziare?
Il mondo politico – in particolare il governo – e quello economico (“sgradevole volontà di trattare”, sintetizza il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini), credono e sperano nella seconda ipotesi. Perciò esortano le istituzioni a rispondere con fermezza alla sfida. Però a farlo con calma e perseveranza. Della serie: un accordo è ancora possibile in queste tre settimane di conto alla rovescia ed è l’unica soluzione ragionevole sul conflitto surreale promosso da Trump.
Un conflitto che per il nostro Paese avrebbe un impatto devastante in ogni settore. Gli americani ci amano, ma non tutti potrebbero permettersi di pagare il 30% in più dall’oggi al domani per i nostri prodotti tali e quali.
E’ ovvio che l’eccellenza italiana, per quanto unica e ambita, faticherebbe a reggere la concorrenza altrui e specie casalinga, come d’altronde vuole il paladino dell’“America first”. A costo di penalizzare il buongusto dei suoi stessi consumatori.
Ursula von der Leyen definisce “sconvolgente” la decisione della Casa Bianca e assicura “pronte contromisure”, se le trattative, pur sempre e ancora in corso, fallissero.
Il nostro governo sostiene l’azione dell’Ue, ma vuole evitare lo scontro con l’America. “Negoziare un accordo equo”, dice Palazzo Chigi.
Ma gli accordi si fanno in due e il dialogo invocato non può essere un dialogo con chi non vuol sentire.
(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)
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