I guai di Antonio Tajani, 72 anni fra meno di un mese, vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, non vengono tanto dagli affari di cui si deve occupare alla Farnesina, dividendoli peraltro con una premier come Giorgia Meloni, che non se ne sta certamente a Palazzo Chigi inoperosa, con le braccia incrociate, quanto dalla proposta che ha rilanciato del cosiddetto ius scholae. Che collega la cittadinanza degli immigrati nati in Italia, o arrivativi da minorenni, al loro percorso scolastico.
Non sono bastati, e non bastano, a Tajani i due fronti costituiti dal no degli alleati di governo e dallo scetticismo, a dir poco, della segretaria del Pd Elly Schlein. La quale gli ha appena mandato a dire, intervistata da Maria Teresa Meli per il Corriere della Sera, che “purtroppo è la seconda volta di fila che quando arriva il caldo Tajani annuncia di voler cambiare la legge sulla cittadinanza”. Ed ha aggiunto, ancora più sarcastica: “Stavolta mi sembra che abbiano aperto e chiuso nel giro di 12 ore”.
Il no degli alleati di governo, intesi come i fratelli d’Italia della premier e i leghisti di Matteo Salvini, questa volta è stato doppio. Perché la materia, come si disse già l’anno scorso, non farebbe parte degli accordi di governo o del programma elettorale del centrodestra, dove invece Tajani ha trovato e sbandierato “il punto 6, che parla di integrazione di immigrati regolari”. E perché, o ancor di più perché non più tardi del mese scorso un referendum, risultato peraltro il meno disertato dei cinque promossi dalle opposizioni, ha confermato la sostanziale impraticabilità del terreno proposto per dimezzare la durata del percorso delle pratiche di cittadinanza.
Ma quel diavolo di Bruno Vespa, nel caldo della sua fattoria pugliese dove convoca un po’ tutti a rapporto, o quasi, ha rifilato o fatto rifilare tra i piedi di Tajani a sorpresa, visto che non si può dire sia prevenuto contro di lui, la sensazione pur avvertita da altri che di ius scholae non voglia sentir parlare neppure Marina Berlusconi. Che sta notoriamente a Forza Italia, per quanto possano pesare altri sentimenti e ricordi, come un creditore nei riguardi del debitore. “Marina Berlusconi – ha risposto Tajani tenendo a conservarle rispettosamente il cognome – è un’amica. Non abbiamo mai affrontato questo tema. Non si è mai espressa su questo tema”. Non una parola in più o in meno.
È un silenzio, quello della figlia dello scomparso fondatore di Forza Italia, che Tajani considera evidentemente una risorsa. Ma che – nel dibattito politico di stile italiano, fatto più di sottintesi che di proclami sin dai tempi di Aldo Moro, i cui silenzi erano più rumorosi dei discorsi – potrebbe essere o rivelarsi un guaio per il segretario del partito azzurro. O persino il principale dei guai.