Mai di venerdì. Pare che anche ministri e sottosegretari siano sensibili alla vecchia credenza, che sconsiglia vivamente di cominciare un’attività di rilievo in quello che per molti è l’ultimo giorno lavorativo della settimana. Del resto, chi non conosce che “né di Venere né di Marte non si sposa né si parte né si dà principio all’arte”? E l’arte del governo nel rispondere alle interrogazioni dei parlamentari è decisivo per la dialettica con le opposizioni. Anche se si può equivocare, perché il servizio pubblico televisivo si ostina a evocare in inglese il diritto alle domande dei parlamentari e il dovere delle risposte del governo: “Question time”, viene chiamato l’atto da pane al pane. Come se il Parlamento della Repubblica italiana sorgesse non a Roma, ma a Londra o New York.
Fatto è che il ministro per i Rapporti per il Parlamento, Luca Ciriani, ormai fatica a reclutare i suoi colleghi di venerdì per dare la versione dell’esecutivo ai legislatori interroganti. I quali a loro volta non sgomitano, quel tardo giorno della settimana, per sedersi nell’aula e ascoltare la voce del governo dopo averla sollecitata. Il venerdì, che impresa titanica per tutti. E poi con questo caldo.
E così in una riunione dei capigruppo a Montecitorio, prendendo atto della realtà mai tanto “faticosa”, Ciriani avrebbe proposto di spostare a giovedì l’atto che vacilla, se eseguito il giorno dopo.
Se l’ipotesi sarà accolta, per i deputati (ma per i senatori la situazione non è molto diversa), si prospetta la settimana corta. Molto corta: non è che il lunedì alle 8 del mattino 400 deputati siano già tutti pronti e seduti per esercitare il loro dovere tra commissioni e assemblea.
Un dovere, peraltro, che non è stato ordinato dal medico. E’ una libera scelta di chi si è candidato ed è stato eletto in funzione di un compito -ma sarebbe meglio definirlo servizio, se non proprio missione-, da svolgere in nome del popolo italiano. Senza cartellino d’ingresso o d’uscita. Un dovere molto ben pagato, com’è giusto, poiché l’importantissimo impegno rappresentato -fare le leggi, governare, controllare l’operato di chi governa- dovrebbe realizzarsi con competenza, dedizione, senza guardare le lancette dell’orologio.
Ma che c’entra tutto questo col mai di venerdì? Quale altra attività, in Italia e nel mondo, oserebbe cancellare un giorno di lavoro dal calendario sol perché il lavoratore non si presenta? Quale onorevole esempio si pensa di trasmettere a tutte le categorie di cittadini chiamati a rimboccarsi le maniche? Con quale credibilità si potrà contestare chi propone la settimana da 35 ore lavorative o comunque corta, se il Parlamento la sogna cortissima?
Ma poi: dove sarebbero questi ritmi asfissianti che impedirebbero ai rappresentati dell’esecutivo e ai deputati richiedenti d’essere presenti guarda caso il venerdì, cioè proprio alla vigilia del fine settimana, e non il lunedì, martedì, mercoledì e giovedì?
Una simile scelta, che in teoria vorrebbe “meglio organizzare” il lavoro istituzionale, è peggio che sbagliata: è surreale.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova
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