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costa smeralda

Chi spinge i turisti dalla Sardegna verso le isole di Francia e Spagna?

Viaggio tra bellezze naturali e brutture commerciali in Sardegna. L'intervento di Marco Addis

Per il bel fascicolo dedicato alla Sardegna, che il Corriere della Sera ha distribuito per conto di Bell’Italia, la Gallura finisce con Olbia. Vuol dire che è stato omesso ogni riferimento anche solo geografico all’area che copre Arzachena, Palau, Calangianus e S. Teresa Gallura.

Da quest’ultimo centro turistico piove un fiume di indignazione, più che una protesta.

Ad essere sotto tiro è un giornalista affermato e colto come Aldo Brigaglia. Si tratta del fratello minore del mitico Manlio Brigaglia, storico e giornalista di rango trascorreva molti mesi seduto al tavolo della terrazza esterna del Bar Sport di Aurelio Vincentelli.

Questa omissione è frutto dell’impertinenza di Aldo (che non fa sconti e dice pane al pane) o di una brutta realtà che ti salta in faccia? È il caso di imitare il percorso di un turista qualsiasi.

Una volta che un velivolo spagnolo di nome Volotea ti sbarca sul grande piazzale dell’aeroporto Gear di Olbia, ti si parano i servizi aeroportuali interni. Una fiera di vini, formaggi, dolci, abbigliamento, librerie, caffè  ecc. Di  buon livello, ma anche a prezzi spesso scanzonati.

Non evitate di mettervi in fila nella buona caffetteria e soprattutto dell’annesso ristorante self-service. Qui vi scodellano, per 13 euro, dei bei piatti di pasta al sugo di manzo e delle fregole alle verdure: le invidierete per tutto il tempo delle vacanze.

Fuori vi attende una vecchia conoscenza, un lungo festone di taxi schierati in attesa. È una corporazione  potente. Per un’ora di trasporto fino Santa Teresa vi spillano circa 150 euro. Quindi un costo maggiore di quello per acquistare un biglietto di Volotea e stivarti in un lungo e affollatissimo abitacolo che da Modena, Firenze, Venezia ecc., in un lasso di tempo pari ti deposita nella capitale della Gallura.

Ha senso economico: è ammissibile questa forte differenza tra taxi e aeroplano. La  carta di credito comincia a mandare lamenti, anzi a grugnire.

Che cosa offre a un turista Lungoni, come si chiamava una volta Santa Teresa Gallura, il paese più ventoso della Sardegna? Fu costruito nel primo decennio dell’Ottocento proprio di fronte alle falesie di Bonifacio, in terra di  Francia. Dicono  gli addetti al pettegolezzo storiografico che serviva a soddisfare le scappatelle di Garibaldi da Caprera. Non produce niente. È vissuto e vive del reddito che si crea intorno alla speculazione edilizia intorno al mare e ad un turismo per lo più di ceto medio-povero.

Siamo oltre metà giugno. L’intero paese mostra piazze e strade colme di sporcizia e abbandono. Un’incuria consolidata rispetto ad un passato diverso ed opposto.

L’intero impianto stradale è ampiamente escoriato per l’installazione di tubazioni  elettriche  o connessioni ad alta tecnologia. Auto, bici e trabiccoli debbono sostare di fronte a speciali macchine (ruspe, montacarichi, ecc.) per bucare bitume e creare un tratturo.

Questi lavori hanno sparso per le strade del centro. fino alla Torre Spagnola e a Via Nazionale, una quantità infinita di sassolini, pietruzze ecc. Nessuno ha ritenuto di farle sparire. Basterebbe l’uso di una scopa e si renderebbe il passeggio o l’attraversamento un rito meno colmo di grandi disagi.

Dicasi la stessa cosa per i lavori comunali che riguardano il taglio del fogliame che esonda dalle piante  lungo la strada intorno alla Torre spagnola e nella scalinata che immette sulla spiaggia della Rena Bianca.

La Rena Bianca, un relitto spento

Una volta questa era la regina del  fiordo  di acque smeraldine e di rocce affinate e affilate da secoli. Ora è un relitto spento di due concessioni balneari di rara bruttezza e inutilità. Non si vede anima viva che rivolti e pulisca la sabbia. Bambini e vecchi sono  esposti ad ogni infezione e malattia. Le guardie comunali non muovono un dito né spostano un occhio per vedere e denunciare inefficienze e prodromi di malattie virali.

Perché dovrebbero farlo? L’intero centro storico di Santa Teresa è stato sottratto abusivamente agli abitanti e ai turisti. I marciapiedi transitabili sono stati occupati dai prodotti artigianali sardi di un grande e fornito emporio (Muntoni) a ridosso della piazza centrale, in via Santa Lucia, e dalle cianfrusaglie di negozi di cineserie o da un accrocco di pizzerie e ristoranti ben frequentati dell’imprenditore Spanu.

Dopo il Covid le licenze del Comune per occupare gli spazi sono state rinnovate o forse usucapite discrezionalmente. Per il passeggio serotino di centinaia di persone sono rimasti buchi minimi e ristretti. Ma al Comune hanno occhio solo a favore di chi deve votare  il rinnovo di questa chiacchierata amministrazione.

A suo merito c’è il contenimento delle folle che si riversavano sull’arenile e la valorizzazione per iniziative culturali del grande spiazzo di fronte alla chiesa di Santa Lucia. Ma grida vendetta lo scandalo della biblioteca comunale Grazia Deledda. Non si comprano libri, e non si accolgono neanche le offerte gratuite dei privati.

A dominare è una scarsa competenza e uno spirito sordo di immobilismo. Piuttosto che avere un bene culturale in permanente  disuso, sarebbe meglio avere il coraggio di chiuderlo. Perché non destinare il misero budget  e gli stipendi di un personale inutile a rifare  i marciapiedi?

La Rena Bianca: una landa irriconoscibile

La spiaggia della Rena Bianca era una regina del fiordo allo smeraldo in cui è incuneata. Non piaceva alla sindaca. Confessò alla stampa locale di avere il cuore a pezzi, ma anche le mani libere, perché i suoi concittadini non frequentavano più questo litorale. Di qui la decisione di calendarizzare le soste, imporre un ticket e soprattutto raddoppiare le presenze invasive di due monopoli  come le concessioni balneari. Ormai la segmentazione in micro-lotti dell’arenile per poterne fare un bene da affittare l’ha ridotta ad una landa irriconoscibile. Non pulita né curata.

Uno squallore e una tristezza infinita.

La mitiga lo spettacolo delle insenature e delle rocce centenarie scavate dai flussi delle acque e dei venti che circondano gli esterni dell’ex Torre spagnola. Ma l’attraversamento è pericoloso perché non sono stati previsti reti, mancorrenti o braccioli.

Un’escursione infernale in mezzo a pezzi di gradini, cumuli di  pietre e foglie, sabbia e ciottoli è la gradinata che dal grande spiazzo dell’ex albergo Esit (dove i turisti si affollano per scattare foto  della torre e delle acque poco distanti da Bonifacio) porta in Via del Mare e poi nella spiaggia. O la scalinata la si arreda decentemente, o meglio introdurre un bel divieto.

Una ristorazione ad alti costi

Fare colazione a Santa Teresa significa fare penitenza. In nessun bar ci sono brioche fresche, ma solo prodotti da centro commerciale, da riscaldare e servire incipriandole di zucchero.

Nessuno sa come si prepara il latte macchiato, che a un bar viene confuso con la tazzina del caffè macchiato. Rispetto al periodo Covid i dolci, a cominciare  dalle formaggelle, hanno subito una plateale trasformazione delle proporzioni. La ragione: riducendo le dimensioni si risparmia sul costo del latte (e a volte anche della tazzina del caffè che viene divisa per servire due clienti…), della pasta, dello zucchero, dell’uvetta  ecc.

Vi sembra uno spettacolo allucinante? Calma, perché nella nuova pasticceria, appena aperta in via XX Settembre, una banalissima brioche potete morderla pagando 2,50 euro. Un costo mai visto.

Ma non c’è da meravigliarsi. Per tagliarvi le unghie dei piedi (un quarto d’ora) presso un centro estetico ti chiedono oltre 60 euro. In un noto ristorante di pesce, ma di poche pretese e trasandato nel servizio, presso Capo Testa, un piatto di cozze (solo tre-quattro erano di provenienza da Olbia), due risotti melensi di pesce e due gelati, te li imbandiscono a circa 120 euro. Si resta senza parole e con portafoglio dolente per l’insolenza.

In paese la scena della grande ristorazione ha come epicentro un locale ben arredato, servizio impeccabile, personale gentile. Un piatto di pasta supera ormai i 20 euro. Da Thomas  per 144 euro a un tavolo per due servono due primi, una ricciola e due bicchieri di bianco. Non ci crederete, ma all’ora pranzo era quasi pieno.

Se amate la pizza, non perdetevi un vecchio e sempre valido locale napoletano. Un piatto con bufala (euro 12,50) e all’ortolana (euro 14), due birre (14 euro), un’acqua minerale (3,50 euro) e un medio ed evanescente ricottillo amalfitano (7,50 euro) vi vengono  intavolatiti per circa 54 euro. Dimenticavo: 6 euro per coperto e servizio. Sono voci che in nessun ristorante ci sono quasi più.

Questi dati dimostrano che in paese non si fa nulla per rendere più stanziale o propiziare il ritorno dell’attuale  turismo mordi e fuggi. Il ceto di governo non ha alcuna idoneità a fronteggiarlo.

Per trattenere le molte migliaia di italiani e stranieri che sciamano nell’isola ci si è messo un colosso come Eurospin, che dispone di circa 1600 punti di vendita sul territorio nazionale, praticando un tariffario che dimezza i prezzi di ogni tipo di bene rispetto a quelli straripanti degli altri centri commerciali (Dettori e Despar), ha fatto quasi scomparire il commercio al minuto.

Ma al turismo di massa si intende rispondere con l’esosità spavalda e avventurosa dei mini-imprenditori locali finora descritta? O si intende indurre i turisti ad andarsene in Corsica (l’isola francese) o in quelle spagnole di Maiorca e  Minorca?

Forse è questa la domanda che hanno inteso proporre Aldo Brigaglia e gli altri collaboratori al fascicolo speciale di Bell’Italia dedicato alla Sardegna.

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