Skip to content

blackout

Tutti i non detti del governo spagnolo sul blackout

Tra censure e non detti, ecco le conclusioni del rapporto del governo spagnolo sul grande blackout del 28 aprile. L'approfondimento di Sergio Giraldo.

Il governo spagnolo, dopo 50 giorni dai fatti, ha finalmente reso pubblico il proprio rapporto sul blackout elettrico verificatosi nella penisola iberica il 28 aprile scorso.

Nelle 182 pagine di relazione, pur nascondendo molto, il governo non può negare l’evidenza ed è costretto ad ammettere che il sistema elettrico spagnolo al momento del blackout non era dotato di adeguati sistemi per mantenere stabile la rete (cosa che La Verità e diversi esperti avevano da subito indicato come causa del crollo della rete elettrica spagnola).

Le conclusioni del rapporto hanno una valenza soprattutto politica: il blackout ha una radice politica, non tecnica.

Il governo spagnolo ha spinto molto sulle fonti rinnovabili, incentivando uno sviluppo enorme del fotovoltaico senza investire nella sicurezza della rete, provocando l’illusione di prezzi bassi. Una allucinazione collettiva, che occultava i costi necessari a mantenere l’equilibrio della rete in presenza di una preponderanza di produzione da fonti rinnovabili.

Ne è dimostrazione il fatto che, dal giorno dopo il blackout, il gestore della rete spagnola ha aumentato stabilmente la quota di generazione sincrona convenzionale (gas e nucleare) e diminuito la quota di generazione rinnovabile (fotovoltaico, eolico). Ciò ha fatto alzare i costi in bolletta in Spagna, sino a quel momento tenuti artificialmente bassi perché con minimi oneri per la sicurezza del sistema. Tutto ciò per poter dire, politicamente, che le fonti rinnovabili costano poco.

Se non si investe nella stabilità della rete (con accumuli, compensatori sincroni, inverter di nuova generazione) e se nella gestione giornaliera non si dota il sistema di adeguati strumenti per gestire la frequenza e controllare la tensione, lì per lì i costi sono bassi. Ma solo fino a quando il sistema non implode, come fatalmente è avvenuto. Ed ora emergono i costi: lo stesso rapporto del governo indica la necessità di integrare la rete  con compensatori sincroni e di fare in modo che anche le fonti rinnovabili concorrano a regolare la tensione: tutte cose che costano. La verità è questa: le fonti rinnovabili non sono gratis, non costano “poco” e vanno gestite, il che comporta costi.

Il rapporto del governo, per quanto attribuisca ai produttori parte delle responsabilità, mette in una posizione delicata la presidente di Redeia, l’avvocato socialista Beatriz Corredor, che da quasi due mesi si sbraccia proclamando l’innocenza della controllata REE. Il governo di Pedro Sánchez, già in crisi per gli scandali di corruzione, è appeso a un filo.

Il ministro per la Transizione ecologica Sara Aagesen  ammette che la rete elettrica spagnola al momento del blackout aveva troppa generazione rinnovabile rispetto a quanta era possibile gestirne senza incidenti. “Il sistema era in una situazione con limitate capacità di controllare la tensione. […] Ogni disconnessione di generazione rinnovabile ha provocato un aumento delle sovratensioni. […] Ogni disconnessione ha portato il sistema a un punto dove, in assenza di sistemi per assorbire potenza reattiva, è iniziata una reazione a catena”.

Nei giorni e nelle ore precedenti il blackout vi sono state oscillazioni della frequenza che hanno causato sovratensioni, ma il rapporto non ne spiega l’origine, dandole come dato di fatto. Una di queste oscillazioni, secondo il rapporto, ha avuto origine da una centrale solare nel sudovest della Spagna, vicino a Badajoz.

La relazione non può evitare di dire che il primo fattore a “concorrere” al blackout è stata l’insufficiente “capacità di controllo dinamico della tensione del sistema”. La pianificazione della generazione necessaria per stabilizzare il sistema, decisa dal gestore della rete Red Eléctrica (REE), era cioè insufficiente in partenza, con l’utilizzo di sole dieci centrali convenzionali (gas, carbone, nucleare), ovvero il valore più basso di tutto il 2025. Questo a fronte di un enorme utilizzo di produzione fotovoltaica, priva della capacità di regolare dinamicamente la tensione.

C’è di più: già il giorno 27 una delle dieci centrali aveva comunicato a REE la propria indisponibilità per il giorno dopo. Ma REE decise di non riprogrammare e di non chiamare un altro impianto, scegliendo di gestire il sistema per il giorno 28 con nove impianti solamente. Questo anche se avrebbe potuto sostituire quella centrale indisponibile con altre, chiamando un altro produttore.

Dunque, la rete elettrica arriva al blackout in un giorno in cui vi sono continue oscillazioni e sovratensioni (la cui origine resta non indagata dal rapporto) e in cui REE programma il minimo numero di impianti adatti a gestire tali problemi. Quando vede la situazione peggiorare, nel tentativo estremo di stabilizzare la rete colpita dalle sovratensioni, alle 12:26 del 28 aprile, REE chiede ad una centrale a gas di entrare in esercizio entro 90 minuti. Troppo tardi: sette minuti dopo, alle 12:33, è arrivato il blackout. Le responsabilità di REE sono molto chiare.

A fronte delle sovratensioni, poi, alcuni impianti si sono disconnessi in modo anomalo, cioè prima della soglia di 245 kV: si tratta di due impianti fotovoltaici, a Cáceres e Badajoz (pag.44 del rapporto).

 

Il rapporto afferma poi che alcuni dei nove impianti termoelettrici programmati non hanno soddisfatto le aspettative del gestore della rete, censurando però i relativi dati.

 

Nella sua presentazione del rapporto, il ministro Aagesen ha dunque evidenziato due fattori chiave del blackout: l’assenza di sufficienti impianti programmati per controllare la tensione e l’incapacità di alcuni di questi impianti di controllarla. Ma in realtà il rapporto cita un terzo fattore, che il ministro tace: il 22% degli impianti rinnovabili non stava soddisfacendo i parametri chiave richiesti da REE sul fattore di potenza (pagine 112 e 132) e questo può essere all’origine delle sovratensioni.

Tra censure e non detti, nel rapporto restano senza risposta molte domande. Che cosa ha provocato le sovratensioni che hanno afflitto il sistema spagnolo già dai giorni precedenti al blackout? Perché REE il 27 aprile ha stabilito che bastavano dieci centrali con produzione sincrona per mantenere la stabilità della rete il 28 aprile? Chi e perché ha deciso poi che ne bastavano solo nove? Perché le disconnessioni dei fotovoltaici prima dei 245 kV? Perché il 22% degli impianti rinnovabili era fuori dai parametri richiesti da REE?

Non finisce qui. REE sta lavorando ad un proprio rapporto e lo stesso sta facendo Entso-E, l’organismo europeo dei gestori di rete. Vi è poi una indagine dell’Autorità per la concorrenza spagnola. Ne attendiamo gli esiti.

Torna su