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Il pessimismo della ragione di Paolo Mieli e l’ottimismo della volontà di Israele

Paolo Mieli è passato dal disagio procuratogli da Israele per le dimensioni della guerra a Gaza all’attacco di Netanyahu che vuole impedire la bomba atomica all’Iran. I Graffi di Damato pubblicati sul Dubbio

Le sorprese si inseguono e si sommano come bambole in una gigantesca matrioska di fronte al disordine delle guerre a pezzi sempre più ravvicinati. Che Papa Francesco, morendo in tempo, si è risparmiato di vedere nei loro sviluppi e di denunciare con quel poco di forza e di voce che gli erano rimaste. La sorpresa, per esempio, del presidente americano Donald Trump che, pur non essendo riuscito a strappare davvero a Putin una rinuncia alla guerra all’Ucraina, neppure dopo averne rovesciato il ruolo da aggressore ad aggredito, ha mostrato di prenderlo sul serio come mediatore fra Israele e Iran in guerra. Anzi, nella fase più diretta e trasparente, direi, di una guerra che si trascina da tempo. Sarei tentato di dire “finalmente trasparente” se non vi fossi umanamente e decentemente trattenuto dalle dimensioni del conflitto, dalla quantità dei morti e delle distruzioni e dalla imprevedibilità da brividi dei suoi effetti.

La sorpresa, per rientrare nei confini del nostro disordine interno, cioè nei confini della polemica e del dibattito di casa nostra, e più in particolare a livello mediatico, dell’insospettabile amico Paolo Mieli, due volte direttore del Corriere della Sera, col suo passato familiare e personale di sostenitore della causa israeliana. Egli è passato dal disagio procuratogli da Israele, appunto, per le dimensioni della guerra a Gaza, provocata dal pogrom del 7 ottobre 2023, all’attacco alla dichiarata volontà di Netanyahu di impedire la bomba atomica all’Iran e insieme determinare la caduta di un regime che ha promosso a religione l’odio per gli ebrei.

Il discorso cominciato sul Corriere della Sera da Paolo Mieli è stato portato avanti sullo stesso giornale da Lorenzo Cremonesi per aggiungere ai ricordi delle esportazioni della democrazia fallite in Irak, in Afghanistan, in Libia quello che ha coinvolto più direttamente Israele in Libano. Dal quale dovette a suo tempo fuggire Arafat e dove poi gli iraniani hanno potuto a lungo disporre del loro braccio armato contro Israele. Ma nella stessa Gaza, ha praticamente ricordato Cremonesi, gli israeliani hanno preferito Hamas alla cosiddetta Autorità Palestinese, con tutte le maiuscole al loro posto, per trovarsi alla fine nella situazione del peggiore isolamento nel tentativo di venirne a capo.

Tutto logico e purtroppo anche vero, per carità. Le ricostruzioni sono perfette. Le analisi forse un po’ meno se la loro conclusione è praticamente la rassegnazione. O persino la resa al pessimismo della ragione, direbbe forse la buonanima di Antonio Gramsci, che preferiva notoriamente l’ottimismo della volontà. La resa cioè al male per paura di scongiurarne uno ancora peggiore. Neppure Giacomo Leopardi riuscirebbe a tradurre in versi la disperazione derivante da una simile contemplazione, ripeto, del male. Mettiamogli pure la maiuscola usata dagli ayatollah a Teheran e dintorni per indicare quello israeliano che intendono sradicare, con o senza l’atomica.

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