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Libia, cosa fanno e cosa non fanno Usa, Russia, Turchia, Francia e Italia. L’analisi di Mercuri

Ruoli e mosse di Russia, Turchia e Usa in Libia. Con una improbabile convergenza tra Italia e Francia. Conversazione con Michela Mercuri, analista di geopolitica, docente di Cultura, storia e società dei paesi musulmani ed esperta di Libia.

La Libia di nuovo sull’orlo del caos, tra violenze, scontri tra milizie e proteste per chiedere le dimissioni del premier Dbeibah. Nel paese nordafricano si muovono come sempre attori internazionali. Dalla Russia alla Turchia. Con l’Italia che è la prima spettatrice interessata. Che cosa sta succedendo e quali sono gli scenari. Start Magazine lo ha chiesto a Michela Mercuri, analista di geopolitica, docente di Cultura, storia e società dei paesi musulmani all’Università di Padova ed esperta di Libia.

In Libia nelle scorse settimane sono scoppiate nuove violenze. Qual è la situazione attuale?

Nell’ovest il premier Dbeibah – a marchio Onu, supportato anche dall’Italia – in questo momento si trova piuttosto isolato. Tutto è iniziato qualche settimana fa, quando Dbeibah (nella foto, ndr) ha deciso di epurare le milizie più ingombranti e che non rispondevano più ai suoi ordini. Tra cui la milizia di cui faceva parte al Kikli. Altre milizie si sono ribellate, desiderose di entrare nei centri di potere, e quindi si sono aperti scontri tra milizie. Come la potente Rada. O la brigata 444, o le milizie di Misurata. Gli scontri interni non sono un bel segnale per Tripoli, anch’essa gestita da milizie, così come i pozzi petroliferi e i centri di detenzione dei migranti.

Però è scesa in piazza anche la popolazione…

Spesso dimentichiamo che in Libia esiste anche la popolazione. I libici si sono sollevati contro Dbeibah perché il premier non è stato in grado di assicurare alla popolazione un tenore di vita dignitoso. In Libia, molto banalmente, manca l’elettricità, non ci sono soldi, la distribuzione dei proventi del petrolio non ha mai funzionato ed è finita sempre nelle mani delle milizie. Quindi ora una parte della popolazione, anche se all’interno potrebbero esserci anche sicuramente giovani affiliati ad alcune milizie, sta chiedendo la destituzione di Dbeibah. La posizione del premier quindi è traballante.

Ma il piano di Dbeibah qual era?

Nelle sue intenzioni iniziali, il premier voleva riformare gli apparati di sicurezza. Tradotto: ricondurre le milizie a lui più fedeli e controllabili sotto un cappello istituzionale, una sorta di esercito al suo servizio. Di conseguenza, ha cercato di epurare le milizie rivali. Ha tentato, facendo uccidere in un’imboscata al Kikli. Lo stava facendo anche con la milizia Rada, ma non c’è riuscito e questo chiaramente ha causato un caos. Non riuscendo nel suo intento, ha scoperchiato un vaso di Pandora.

Uno scenario che si intreccia con la presenza e il supporto di altri attori. Come la Russia, sempre più presente nel paese dopo l’uscita dalla Siria, per la caduta di Assad.

Ho parlato di ovest, ma nell’altro quadrante storico libico, l’est, c’è sempre il generale Khalifa Haftar. La presenza della Russia nella Cirenaica è storica, i russi vendono armi a Haftar fin dal 2016, per cercare uno sbocco sul mare. È chiaro che la presenza russa si è rafforzata proprio negli ultimi mesi. Quando la Russia si è trovata a dover sgomberare le basi siriane, ha deciso di trasferire tutto o buona parte di questo arsenale in Libia, nei porti di Bengasi e Tobruk, quindi vicino all’Italia, ma anche nell’entroterra libico, per quanto riguarda soprattutto la componente missilistica. Un’altra notizia, confermata da immagini satellitari, è che i russi stanno piantando missili a media-lunga gittata nella base nell’area di Sebha, che si trova a 900 km a sud di Tripoli. Indirizzati verso la sponda Nord del Mediterraneo, quindi l’Italia, a 1000 km in linea d’aria da Lampedusa. La presenza russa nell’est libico è sempre più pervasiva e ancor più pericolosa, visto il caos nell’ovest. E poi, Saddam Haftar, il figlio di Khalifa, sta guidando l’esercito nazionale libico proprio verso ovest per sfruttare il caos. Forse per arrivare a Tripoli. Sicuramente in questo caos il ruolo della Russia potrebbe diventare ancora più pregnante, magari sostenendo l’avanzata di Saddam Haftar, andando a toccare gli interessi italiani nell’ovest, tra petrolio e flussi migratori.

Quali possono essere le mosse dell’Italia? Dopo l’incontro tra Meloni e Macron, ci può essere una convergenza con la Francia, nonostante le posizioni confliggenti del passato?

Quando penso alla Francia dico: fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. È chiaro che sia l’Italia sia la Francia nel recente vertice hanno preso atto della presenza russa sempre più preoccupante. Sulla Libia però rimangono posizioni piuttosto divergenti. Il fatto che vi sia un problema comune, a mio avviso, non lega necessariamente due attori che sono sempre stati competitor in Libia. Bisogna ricordare che Macron ha sostenuto, così come i suoi predecessori francesi, il generale Haftar. Mentre l’Italia sostiene Dbeibah. Quindi sono molto scettica su una possibile convergenza dell’Italia e della Francia in Libia. E poi, posso aggiungere una cosa?

Prego.

La Francia è stata sempre opportunista nei confronti dell’Italia nella questione libica. Credo che forse nei pensieri di Macron, in questo interessamento sulla Libia, in questo suo voler incontrare Giorgia Meloni, vi sia anche un altro obiettivo. La Francia negli ultimi anni ha perso la Françafrique, cioè le parti delle sue ex 14 colonie con cui manteneva rapporti economici e da cui appunto si forniva di risorse a basso costo. Perdendo la Françafrique, ha perso credibilità in una buona parte del continente africano. L’unico modo che ha per tornare ad avere rapporti con il continente è passare da un attore che invece, in questo momento, risulta tra gli europei il più credibile. Cioè l’Italia, visto il piano Mattei e tutti gli investimenti fatti, non solo in Libia ma in molti paesi africani. Quindi Parigi potrebbe voler sfruttare Roma non tanto per aiutarla nella questione libica, quanto per rimettere un piedino in Africa.

In tutto questo gli Stati Uniti di Trump sono in partita?

Gli Stati Uniti hanno riaperto il dossier Libia dopo tantissimi anni. E lo hanno fatto sia con delle visite istituzionali del capo della sesta flotta americana, sia dell’inviato speciale per la Libia Norland, che ha parlato con il generale Khalifa Haftar. Il figlio di Haftar si è recato negli Stati Uniti. Non sappiamo di cosa abbiano discusso. In quel momento è uscita la notizia, non verificabile e poi anche smentita, che mi limito a riportare per correttezza, che vi sarebbero stati accordi tra Haftar e la Casa Bianca per accogliere 1000 rifugiati palestinesi. Ora potrebbe essere una casualità. Ma ad ogni modo gli Stati Uniti si sono interessati al dossier Libia, hanno intavolato dialoghi con tutte le parti, ma soprattutto con Haftar. E Trump è interessato al dossier Libia anche in chiave antirussa. Mosca può allargarsi in Libia, ma potrebbe poi farlo ulteriormente anche nel Sahel, visti i confini porosi. E questo sicuramente inizia a preoccupare l’amministrazione americana.

Tra gli attori interessati allo scenario libico c’è anche la Turchia. Ankara che interessi ha?

La Turchia è stata uno storico alleato dell’ovest libico, prima con l’allora premier Sarraj, che ha aiutato a respingere nella guerra del 2019 l’avanzata di Haftar, e poi con Dbeibah. Ma ora Ankara sembra invece aver svoltato, abbandonando il premier di Tripoli. Sembra voler salire sul carro del vincitore. Ci sono addestramenti congiunti tra le forze di Haftar e le forze turche. La Turchia avrebbe inviato qualche migliaio di droni alle forze del generale libico. Un cambio di postura che potrebbe essere anche l’ago della bilancia per i futuri equilibri geopolitici in Libia. La Turchia vorrebbe allargare i suoi affari con Haftar, non solo attraverso la vendita di armi, ma anche trovare una sponda per una proiezione più ampia in tutto il paese, che possa poi magari spingersi verso il Sahel e verso l’Africa continentale.

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