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Vi racconto l’ultima faziosità di Lilli Gruber su Giorgia Meloni

La faziosità di Lilli Gruber su La7 contro Giorgia Meloni sfocia ormai in un'ossessione tv. I Graffi di Damato

Uscire da casa l’8 o il 9 giugno prossimo non per andare al mare ma – magari prima di andarvi – per raggiungere la propria sezione elettorale, varcarne la soglia e non ritirare le schede dei referendum, e quindi non votare, significa rifiutarle. Significa per un presidente del Consiglio, vista la sua funzione e quindi la sua visibilità, come nel caso di Giorgia Meloni, che ha tenuto peraltro ad annunciarlo pubblicamente, rafforzare l’esercizio del diritto di astenersi. Persino ostentarlo. Esattamente l’opposto del titolo dato da Lilli Gruber alla sua puntata televisiva Otto e mezzo di ieri sera: “Meloni si astiene ma non lo dice”.

Come “non lo dice”? Piuttosto, per essere coerente con se stessa, che ha tenuto ad annunciare che lei invece voterà, sperando evidentemente di essere imitata, la Gruber avrebbe dovuto accusare, processare e quant’altro la premier di avere annunciato sin troppo la sua astensione. O no? La faziosità, come per altri versi l’odio di cui tanto si parla in questi giorni per le scomposte contrapposizione politiche, rende davvero ciechi. O ridicoli, se preferite una variante del concetto meno penalizzante e tragica.

Una faziosità aggravata dall’ignoranza pretendendo che sia un dovere l’esercizio del diritto referendario di tentare “l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali”, come dice l’articolo 75 della Costituzione, rimasto peraltro invariato in 77 anni. Un diritto e non un dovere sempre per quel benedetto articolo della Costituzione quando non prevede ma stabilisce, a sostegno quindi di chi volesse praticare l’astensione, che “la proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi”. Siamo alle prese col famoso “quorum”. O “battiquorum”, come lo avvertono i promotori e sostenitori di un referendum abrogativo.

Dobbiamo dare dei matti, degli sprovveduti, dei fascisti – per cavalcare il linguaggio delle opposizioni attuali – ai compianti padri della Costituzione? Fra i quali peraltro c’era un tale di nome Palmiro e di cognome Togliatti, contrario all’istituto del referendum abrogativo. Tanto contrario da essersi adoperato perché la validità fosse condizionata dal quorum, appunto. Tutti gli altri tipi di elezioni, dalle politiche alle amministrative e ai referendum cosiddetti confermativi di modifiche alla Costituzione, sono privi di quorum, o di batticuore.

Mi scuso della pedanteria di questo ragionamento, come potrebbe apparire a qualcuno, ma in genere è consigliabile sapere ciò di cui si parla. Vale anche per i cosiddetti costituzionalisti che stanno partecipando -vedo- alle proteste contro” la furbizia” o addirittura “la vergogna” dell’annuncio della premier su come voterà, cioè non voterà domenica o lunedì prossimo, sfidando la propaganda del sì.

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