Donald Trump aveva affermato, dopo l’insuccesso relativo dell’incontro di Istanbul del 15 maggio scorso fra le delegazioni russa e ucraina, che un risultato decisivo per la tregua di 30 giorni da lui proposta – propedeutica a un vero processo di pace in Ucraina – sarebbe derivata solo da un suo contatto diretto con Putin. Se il Cremlino non avesse accettato la sua proposta, sarebbe stato “punito” immediatamente con pesanti sanzioni sia dirette che secondarie. Queste ultime avrebbero colpito soprattutto gli Stati importatori di gas e petrolio dalla Russia, tra cui la Cina e l’India. L’ultimatum di Trump sembrava rafforzato dal miglioramento dei rapporti con Zelensky, dal sostegno degli alleati europei e, indirettamente, anche dagli accordi sui dazi fra gli USA e la Cina, che avevano dimostrato i limiti della “partnership senza limiti” fra Mosca e Pechino.
Il punto debole delle minacce di Trump era solo un immediato “cessate il fuoco” da “vendere” come un successo all’opinione pubblica. Per quanto pesanti potessero essere le sanzioni per la disastrata economia russa, esse avrebbero avuto sul conflitto effetti solo differiti. Solo un massiccio invio di armamenti avrebbe potuto convincere il Cremlino che il sostanziale stallo militare non poteva essere modificato. Sarebbero scomparse le speranze di Mosca sul successo della grande offensiva che Putin sta preparando, inviando al fronte tutte le forze disponibili, anche le Guardie Presidenziali.
Gli obiettivi riposti in tale offensiva sono ambiziosi: creare una breccia nel fronte ucraino, dilagare in profondità. forse fino a Kiev, riscattare l’ammaccato prestigio militare russo e presentarsi da vincitore al tavolo di qualsiasi trattativa di tregua o di pace. Putin non ha mutato gli obiettivi iniziali dell’“operazione militare speciale”. Essi saranno certamente confermati nel “memorandum” che Putin si è impegnato, nella telefonata con Trump, a presentare in qualsiasi negoziato, aggiungendovi la richiesta di eliminare le cause che gli avrebbero “imposto” di ricorrere alle armi (verosimilmente saranno quelle riportate nelle lettere che inviò agli USA e alla NATO nel dicembre 2021). Per Putin, insomma, il negoziato sarebbe la prosecuzione della guerra con altri mezzi. Il suo obiettivo minimo consiste nell’occupare per intero i quattro Oblast annesse alla Russia (ancora per il 20% sotto controllo ucraino) e nell’evitare, con la smilitarizzazione e la completa neutralità, ogni garanzia che consenta di difendere l’indipendenza di quanto rimarrebbe dell’Ucraina, che Putin progetta di unire alla Madre Russia quando se ne presenterà l’occasione.
Per evitare il rischio di un disastro militare ucraino e per convincere Putin dell’impossibilità di una vittoria militare o diplomatica e della necessità di accettare compromessi sia territoriali sia – soprattutto – nelle garanzie di sicurezza fornite all’Ucraina, le minacce di Trump avrebbero dovuto consistere nel nuovo, tempestivo e massiccio invio di armamenti a Kiev. Solo dopo che le forze ucraine avessero respinto l’offensiva russa, si sarebbero determinate le condizioni per una tregua e, forse, per seri negoziati di pace.
Nella telefonata non si è parlato né di sanzioni né di tempi per la loro attivazione né tanto meno di nuove armi americane a Kiev. Si è concordata solo la continuazione di negoziati fra Kiev e Mosca, senza accennare i limiti di tempo. Anche Putin ha ringraziato il Vaticano per l’offerta di ospitare le nuove trattative. Personalmente penso che Putin non le accetterà per l’opposizione che solleverà il Patriarcato di Mosca, dati i suoi rapporti non eccellenti con la Santa Sede.
Gli ucraini e gran parte degli europei sono stati delusi dal colloquio fra Trump e Putin. Probabilmente molti si sono sentiti traditi dal “tycoon”. Egli ha anteposto i suoi interessi a quelli degli alleati. Ha degradato il ruolo degli USA da quelle di attore a quelle di semplice “broker”, precisando che la guerra in Ucraina non è “la sua guerra” e che con Mosca non intende fare pressioni, ma affari. Forse pensa che con offerte economiche sia più facile staccare la Russia dalla Cina che con rivalità geopolitiche. Il rischio che Trump corre è che l’“l’appeasement” con la Russia gli susciti l’ostilità europea. Ma forse la ritiene irrilevante, date le divisioni dell’Europa e la sua dipendenza dall’ormai inaffidabile “ombrello strategico americano”. L’ammassamento di forze russe ai confini della Finlandia e il disimpegno americano dall’Ucraina, aumentano la necessità di un riarmo europeo, anche nell’entità sostanzialmente limitata a 800 mld di euro in quattro anni prevista dalla Commissione Europea. Si tratta, in effetti, di circa l’1% del PIL europeo (che è di circa 20.000 mld di euro all’anno) per quattro anni. Solo coloro che pensano che i carri armati si fermino con i “santini di Padre Pio” possono pensarla differentemente.