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Da Gallarate a Torino, a Bucarest, la coerenza perversa della sinistra illiberale

La sinistra, quando è illiberale, rimanda a radici di carattere utopistico, alla pretesa che la realtà si adatti a modelli di bene assoluto: un concetto, questo, che spesso fa altrettanti danni quanto lo speculare male assoluto. Il corsivo di Battista Falconi

 

Destra e sinistra si scambiano l’accusa di essere illiberali. In modi diversi, però. I progressisti sostengono che conservatori e populisti-sovranisti, in particolare, tendono a imporre regimi autocratici: in Italia la tesi viene declinata anche rivangando il fantasma del neo-fascismo nei confronti di diversi esponenti della maggioranza che appoggia Giorgia Meloni. Specularmente, contro la sinistra si rimprovera un’intolleranza movimentista, un’illiberalità di carattere rivoluzionario, mentre quella sovranista sarebbe appunto reazionaria. Ci sta, lo schema ha un senso, al di là della veridicità.

Va rimarcato che la sinistra, quando è illiberale, rimanda a radici di carattere utopistico, alla pretesa che la realtà si adatti a modelli di bene assoluto: un concetto, questo, che spesso fa altrettanti danni quanto lo speculare male assoluto. La libertà di esprimere le proprie idee non vale quando si parla di remigrazione, pertanto cerco di impedirtelo. Si vota, ma se vince un candidato populista si trova il modo, ovviamente legale, di sovvertire l’esito errato delle urne. Se un ministro va al Salone del libro, è giusto cercare di togliergli la parola. Da Gallarate a Torino, fino a Bucarest, il modello ha una sua coerenza perversa.

Del tema se ne è parlato molto e talvolta anche in modo articolato, per esempio in un interessante articolo di Luigi Manconi di qualche giorno fa. Chi ci rimette, in questi rimpalli di rimproveri, è ovviamente la libertà come valore fondante: trasformata in elemento strumentale e divisivo, mina alla radice i sistemi che si basano sulla vera libertà, non a caso le democrazie versano in una crisi gravissima. Il contrasto da cui siamo partiti si risolve in una contraddizione, peraltro storicamente comprovata, che la libertà concessa in una società si riduca a un dato quantitativo, per cui ce ne può essere più o meno, e non qualitativo. Democrazie, democrature, autocrazie, dittature, totalitarismi si distinguono per sfumatura ma non più per genere, ontologicamente.

Va aggiunto che in Italia questa situazione manifesta una caratteristica precisa e curiosa, per la quale il centrosinistra che include i cattolici tende a essere più illiberale della sinistra estrema. Il progressismo utopista naturalmente trova una grande ispirazione metafisica nelle religioni e ai nostri dem piace molto infilare qualche pezzetto di cristianesimo nel loro kit ideologico. Confidiamo, da questo punto di vista, nella serietà teologica di Papa Leone, che sembra molto concentrato su un’idea di fede seria, minimale e concreta (su Prevost abbiamo ancora solo indizi, ma tutti buoni: unità della Chiesa, estetica tradizionale, testi scritti, commozione percepibile ma pochi contatti fisici, scarso consenso tra i giovani, Cristo sempre al centro).

Alla sinistra non piace la realtà. Per farsene un’idea si legga il capolavoro di snobismo siglato dalla signora Rodotà (nella foto) sulla Stampa dei giorni scorsi, indignata dai turisti americani che pranzano con lo spritz. E infatti ama il cinema, l’arte, gli intellettuali, coccola coloro che per mestiere inventano le finzioni. Ma, detto questo, la destra l’ama troppo. Il suo sacrosanto realismo sfocia spesso nell’assecondare qualunque pulsione e deriva gli esseri umani seguano, vedansi i casi di tanti leader a livello globale e di alcuni esponenti a livello nazionale. Ci sono poi i più abili o furbi, quelli che si mettono a metà, un occhio all’utopia e uno all’entropia, vedi la Francia di Macron che vuole la pace armata e un nuovo carcere di massima sicurezza in Amazzonia. Altro che Albania!

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