Referendum dell’8 e 9 giugno: non prendiamoci in giro. Votare No è come votare Si perché si contribuisce al raggiungimento del quorum che è la vera questione discriminante della consultazione.
Se si raggiunge il quorum è certa la vittoria della ditta di sfasciacarrozze Landini & Schlein perché solo loro hanno fatto campagna elettorale con l’impiego di risorse e con un ampio appoggio mediatico. Il No non è in campo se non a livello di testimonianze e in conseguenza di qualche rodimento di chi cade nella trappola del voto come dovere civico e dell’astensione come contributo maligno al “desencanto” elettorale anche nelle consultazioni politiche e amministrative.
La maggioranza non poteva che tirarsi fuori dalla competizione, visto che non aveva alcuna responsabilità delle norme che gran parte delle opposizioni intende abrogare. Il governo ha persino evitato di incaricare l’Avvocatura dello Stato di svolgere, in udienza alla Consulta, una difesa d’ufficio delle norme sottoposte a referendum.
Se i partiti della maggioranza avessero sostenuto il No avrebbero messo il governo nel mirino dei promotori e corso il rischio di sottoporlo gratis a una sconfitta. Con l’astensione, invece, si chiamano fuori dalla competizione e, nei fatti, si schierano a favore della sinistra riformista (orientata anch’essa all’astensione) che è sotto attacco da parte di quella reazionaria. È necessario essere molto duri e determinati e chiamare le cose con il loro nome senza farsi trarre in inganno da ragionamenti moraleggianti a buon mercato a cui sentirsi obbligati a rispondere con finezze giuridiche.
Nella lotta politica non si guarda in faccia a nessuno. Le norme concedono la rendita di posizione delle astensioni a quanti sono contrari ai referendum e alle forze che li hanno promossi e li sostengono. Per di più in caso di vittoria dei Sì non vi sarebbero le conseguenze che vengono propagandate nella campagna elettorale, nel senso che non tornerebbe in vigore l’articolo 18 con gli effetti previsti dallo Statuto del 1970 (ovvero la reintegra in ogni fattispecie di licenziamento illegittimo).
Consiglio a quanti volessero delle conferme di scaricare dal web la sentenza n.12 del 2025 – con la quale la Consulta ha ammesso i quesiti al referendum – dove si afferma che la norma applicabile, in caso di vittoria dei Sì, sarebbe l’articolo 18 novellato dalla legge n.92 del 2012, il quale, in generale, stabilisce che il regime normale per il licenziamento per motivi oggettivi (economici) ritenuti illegittimi è l’indennità risarcitoria, non più la reintegra salvo alcuni casi molto particolari.
E’ nel nuovo articolo 18 la disciplina vigente del licenziamento illegittimo. Il c.d. jobs act (dlgs n. 23/2015) istitutivo del contratto a tutele crescenti non c’entra nulla con l’articolo 18 in quanto istituisce una forma di assunzione parallela applicabile agli assunti dal 7 marzo 2015, la cui normativa è stata in larga misura rivista dal diverse sentenze della Corte Costituzionale, tanto da farne una disciplina molto meno severa di quella prevista dall’articolo 18 novellato.
La sentenza della Corte poi mette in evidenza che – a fianco di vantaggi inconsistenti – l’abrogazione di ciò che rimane del jobs act farebbe sparire aspetti più convenienti per i lavoratori rispetto alla disciplina vigente. In sostanza, per farla breve, per i lavoratori assunti prima del 7 marzo del 2015 non cambierebbe nulla in seguito ad un’eventuale abrogazione del dlgs n. 23/2015. Mentre gli assunti con contratto a tutele crescenti cadrebbero dalla padella alla brace, in quanto vedrebbero venir meno l’applicazione nei loro confronti di un contratto fortemente rivisto dalla Consulta e ripulito negli aspetti più svantaggiosi, per finire sotto la disciplina dell’articolo 18 novellato. In sostanza i quattro quesiti che vanno a referendum costituirebbero – in caso di una prevalenza dei Sì – la punizione di una sinistra fellona (che come dice da anni Landini, non ha fatto il suo mestiere quando era al governo) e il ripristino di un’antica visione tolemaica del lavoro.
Che dire del quinto quesito sulla cittadinanza? Al seggio si può ritirare solo quella scheda e votare. Attenzione, però. L’Italia non è sparagnina nella concessione della cittadinanza, ma è tra i Paesi più generosi dell’Europa. Nel 2022 i cittadini con background migratorio che hanno acquisito la cittadinanza italiana sono in totale 213.716, il 76% in più rispetto al 2021, quando erano diventate italiane 121.457 persone. Nel 2022, è divenuto italiano il 4,3% dei residenti con cittadinanza non italiana a fronte di una media del 2,6% per l’intera UE27. In base agli ultimi dati Eurostat, l’Italia è il Paese Ue che ha concesso in numero assoluto la maggior parte di nuove cittadinanze. In totale, nel 2022, nell’UE sono 989.940 le persone che hanno acquisito la cittadinanza del Paese in cui vivono, con un aumento di circa il 20% (+163.100) rispetto al 2021. Il 22% di queste nuove cittadinanze è stata concessa dall’Italia, seguita dalla Spagna (181.581 cittadinanze, pari al 18% del totale UE) e dalla Germania (166.640 cittadinanze, il 17% del totale UE).