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Perché è Landini il vero leader dell”opposizione a Meloni

Che cosa succede a sinistra al di là delle schermaglie parlamentari che vedono in prima fila Conte e Schlein. Il ruolo di Landini. I Graffi di Damato pubblicati sul quotidiano Il Dubbio.

Due parole, o annotazioni, sul raduno referendario promosso per lunedì prossimo a Roma, in Piazza Vittorio, dalla Cgil di Maurizio Landini. Cui hanno annunciato la loro adesione il Pd di Elly Schlein, il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, la sinistra rossoverde di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli e +Europa di Benedetto Della Vedova. Uniti nel sostegno ai referendum dell’8 giugno su lavoro e cittadinanza minacciati dall’astensione preferita dal centrodestra, con la sola eccezione di Maurizio Lupi, per vanificarlo, essendo prescritta la partecipazione del quorum della maggioranza più uno degli aventi diritto al voto per renderne valido il risultato.

La prima annotazione è proprio nella provenienza sindacale della proposta di mobilitazione in piazza, per cui i partiti del sì all’abrogazione risultano subalterni, volenti o nolenti. E non è uno spettacolo consolante per la politica. O per il primato assegnatole dalla Costituzione con maggiore evidenza dell’antifascismo evocato pur senza una esplicitazione nei 139 articoli che la compongono. “Tutti i cittadini – dice invece l’articolo 49 – hanno il diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Anche in materia, naturalmente, di lavoro e cittadinanza.

La seconda annotazione è sull’occasione mancata anche questa volta per elevare sopra la dimensione di qualche elezione locale una convergenza delle opposizioni per delineare davvero il fronte di un’alternativa realistica al centrodestra. Ci sono Schlein e Conte, e Fratoianni, Bonelli e Della Vedova, ma non la gamba moderata. Né di Carlo Calenda, ormai scambiato dai suoi peggiori avversari per una riserva del centrodestra, né di Matteo Renzi. Che pur di guadagnarsi il pedigree, diciamo così, dell’opposizione cerca di scavalcare tutti nelle offensive di carattere personale dei giorni pari e dispari contro la premier Giorgia Meloni. Si è metaforicamente intrufolato, con interrogazioni dei suoi parlamentari, anche nei regali da lei ricevuti in due anni e mezzo di governo per cercare di coglierla in fallo su qualcuno di oltre 300 euro di valore non devoluti allo Stato.

Vedo che anche il generalmente fiducioso o ottimista Pier Luigi Bersani, reduce da una fatica letteraria che gli ha procurato un aumento delle già abbondanti partecipazioni ai salotti televisivi, ha cominciato a preoccuparsi davvero – parlandone, per esempio, agli amici del Fatto Quotidiano – di un’alternativa più da sogno che da realtà.

Prima o dopo il simpatico ex segretario del Pd e mancato presidente del Consiglio di un suggestivo governo di “minoranza e combattimento” troverà nel ricordo delle metafore del padre qualcuna – magari animalesca, come quella della mucca al Nazareno o del giaguaro smacchiabile sullo scoglio – da applicare all’alternativa.

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