È presto per parlare di svolta ma, per arrivare alla pace partendo dalla guerra, bisogna accontentarsi anche degli spiragli. E almeno un paio se ne sono aperti dal Medio Oriente all’Ucraina passando per la diplomazia.
La prima, piccola speranza arriva con un gesto inatteso da parte di Hamas, che ha liberato un ostaggio americano-israeliano, Idan Alexander, dopo quasi 600 giorni dal suo rapimento frutto della strage del 7 ottobre 2023 in Israele ad opera di quella organizzazione terroristica.
Era l’unico americano in vita e perciò non è difficile cogliere il senso politico della sorpresa: cercare di ingraziarsi Donald Trump in arrivo in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti con l’intento di lanciare una proposta di cessate il fuoco.
Hamas vuole dimostrare che nelle trattative, auspice, appunto, l’America, è più flessibile di Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano e nemico giurato dei colpevoli del 7 ottobre. Trattative in corso per spegnere ogni fuoco in Medio Oriente e fermare la già preannunciata e nuova offensiva militare di Israele su Gaza, che fatalmente provocherebbe altro sangue innocente di civili palestinesi del tutto estranei alla strage di due anni fa. E riaffermerebbe il persistente e grave blocco degli aiuti.
Da tempo anche i Paesi alleati di Israele chiedono a Netanyahu di fermarsi. La consegna dell’ostaggio americano – che Trump ha definito “una notizia monumentale” -, in cambio di un “serio negoziato per il rilascio di altri rapiti” (così ha spiegato Hamas, la cui improvvisa magnanimità è tutta da verificare), è comunque un indizio che forse qualcosa si muove secondo l’auspicio generale.
L’altro spiraglio arriva da Istanbul, pronta a ospitare, giovedì prossimo, un concreto tentativo per porre le basi alla tregua di almeno 30 giorni richiesta da Europa e America (e già respinta da Mosca) nella guerra dei tre anni scatenata da Vladimir Putin contro l’Ucraina.
A sorpresa Volodymyr Zelensky, presidente del Paese aggredito, s’è detto disponibile a un faccia a faccia con l’aggressore russo. Zelensky accetterebbe di presentarsi al vertice in Turchia anche se Mosca non interrompesse il quotidiano bombardamento dell’Ucraina, come invece pretendono che faccia gli alleati occidentali del presidente ucraino.
Del resto, come si fa a parlare di pace, se uno dei due interlocutori, che ha già invaso un quinto del Paese dell’atro, continua a sparare agli abitanti?
Ma la mossa di Zelensky, che può sembrare temeraria, in realtà punta a inchiodare Putin alle sue responsabilità.
Se lo Zar non accetterà di sedersi al tavolo della tregua invocata, sarà chiaro a tutti, e specie a Trump che ancora si fida e si affida alle promesse di Putin, chi realmente vuole la fine del conflitto e chi no.
“Mi aspetto che a Istanbul ci sia anche Putin, e penso di andarci”, fa già sapere un determinato Trump.
Sullo sfondo rimbombano gli attacchi contro l’Ucraina, ma anche le prime parole pronunciate da Papa Leone XIV: “La pace sia con tutti voi!”.
Un grido di dolore al quale il mondo non può più restare insensibile.
(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)
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