Chiunque sia eletto Papa, il Conclave ha già fallito. Lo scopo della riunione non è quello di assicurare l’uomo migliore per rivestire il ruolo, obiettivo già fallito decine di volte nella storia, ma proprio quello di difendere tale funzione nonostante la propria evidente fallibilità. Convincere, cioè, che lo Spirito Santo davvero possa agire tramite le incerte mani dei cardinali che, con grafia chiara ma non riconoscibile, scrivono il nome sulla scheda e poi la depongono nell’urna.
L’infinita teoria di interviste, dichiarazioni e battute rilasciate dai porporati all’ingresso e all’uscita delle riunioni tenute nei giorni precedenti, la partecipazione ai talk show di alti prelati, l’escalation sui social media, i meme, la folla in attesa della fumata a piazza San Pietro con i cellulari pronti allo scatto e al selfie, i toto-papa nei telegiornali, i giornali dedicati in modo quasi monografico hanno evaporato non lo Spirito Santo (contro il quale, se esiste, l’uomo nulla può) ma il sacro, il mistero, la modalità di espressione del soprannaturale alla quale le religioni dovrebbero adeguarsi. Il Conclave dell’anno giubilare 2025 non è sacro, non è misterioso: è multimediale.
Il mistero del Conclave dovrebbe stare nella sua segretezza eponima, quest’esposizione pubblica, questa rincorsa delle modalità di comunicazione laiche ne annulla il sacro che si trasmette soltanto come mistero, che potrebbe attrarre soltanto come segnale di differenza rispetto al caos infodemico. Può dispiacere ma tant’è. Del resto, ormai siamo stati stati abituati a capire che non è vero che alcune cose ci saranno sempre e altre non ci saranno mai. Tutto può cambiare, nascere e morire. Le democrazie, le libertà civili, potrebbero mutare fino al punto di non esistere più. Siamo in perenne allarme per i diritti minacciati ma in parallelo ne reclamiamo di sempre nuovi, senza pensare che dovremmo porci il problema dei doveri speculari, dei legami famigliari e comunitari, della sottomissione alle regole, della subordinazione alle leggi, dei valori morali. Se non vogliamo obblighi, non abbiamo neppure facoltà.
In questa confusione di senso anche la pace e la guerra diventano variabili come le altre. E mentre il Conclave prosegue nella sua ormai parziale segretezza, Cina e India consumano nuovi passi di una strada che i commentatori guardano con preoccupazione, temendo porti a una guerra davvero mondiale e forse nucleare, che coinvolge Russia, Pakistan, Taiwan, Corea, Magreb, Medio Oriente… Parliamo di Asia, Africa, Pacifico, di posti molto lontani ma anche molto grandi e popolosi, molto più di noi.
II duello militare India-Pakistan sul Kashmir risveglia il conflitto regionale più pericoloso del Pianeta, è un focolaio bellico con implicazioni per la sicurezza planetaria. Nuova Delhi lancia l’operazione Sindoor per vendicare i ventisei morti dell’attentato del 22 aprile e Islamabad avverte del rischio di “guerra totale”, ricordando che l’atomica è pronta. Intanto il presidente cinese va a Mosca per le celebrazioni del 9 maggio, Xi Jinping ribadisce che il ritorno di Taiwan alla Cina è una tendenza “inarrestabile”, sabato in Svizzera cinesi e americani iniziano a trattare sul fronte commerciale (a Ginevra ci saranno il segretario al Tesoro Bessent e il vicepremier cinese He Lifeng).
L’Europa e l’Italia appaiono minuscole e periferiche, per dirla alla Bergoglio. Meloni dopo il premier time al Senato è stata accusata dalle opposizioni di vendere fumo e vivere nei sogni, indubbiamente la sua mediazione appare in calo dopo le mille mosse a sorpresa degli Usa e il prontissimo incontro Francia-Germania (Merz per andare da Macron non ha quasi aspettato di aver giurato). Ma il problema vero è la crisi delle mediazioni diplomatiche, europee in particolare, rispetto all’imprevedibilità dei leader decisionisti o dichiarazionisti.