Non sono ancora in vigore ma questo non significa che non stiano già provocando turbolenze. I dazi sui prodotti farmaceutici minacciati dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump agitano le Big Pharma che attendono di conoscere i prossimi passi del tycoon.
Tra chi pianifica spostamenti e investimenti oltreoceano, c’è anche chi per ora mantiene la calma. E gli analisti condividono le loro previsioni.
ABBVIE STA SERENA (PER ORA)
AbbVie, per esempio ha alzato le sue previsioni di profitto per l’anno in corso grazie alle vendite migliori del previsto dei nuovi trattamenti autoimmuni, ma ha avvertito che le sue previsioni non tengono conto di eventuali cambiamenti nella politica commerciale.
La casa farmaceutica, con sede in Illinois, ha aumentato gli utili rettificati per il 2025 di 10 centesimi, portandoli a un intervallo compreso tra 12,09 e 12,29 dollari per azione, tuttavia, in un comunicato ha dichiarato che questo “non riflette eventuali cambiamenti nella politica commerciale, comprese le tariffe del settore farmaceutico, che potrebbero avere un impatto sull’attività di AbbVie”.
EFFETTO DAZI (E CONTRODAZI)
L’azienda, stando a Bloomberg, ha riferito di aspettarsi un onere di 30 milioni di dollari per i dazi già in vigore, per lo più legati al settore dell’estetica, e il loro impatto potenziale, secondo l’amministratore delegato Rob Michael, sarebbe “in linea” con i suoi concorrenti. AbbVie inoltre prevede di investire 10 miliardi di dollari negli Stati Uniti nel prossimo decennio.
Concorrenti più grandi, come Johnson & Johnson e Merck, invece, hanno già avvertito che i dazi costeranno loro centinaia di milioni di dollari. In particolare, Merck, che ha sede nel New Jersey, per quest’anno stima di dover sostenere costi aggiuntivi per 200 milioni di dollari a causa dei dazi già imposti, compresa la tassa del 10% sulle importazioni da tutto il mondo. Inoltre, l’azienda ha precisato che i costi previsti includono anche i dazi di ritorsione imposti dai governi stranieri agli Stati Uniti, in particolare quelli relativi alla Cina.
E queste previsioni, avverte Merck, non tengono conto della minaccia di dazi “importanti” che potrebbero essere imposti solo sulle importazioni di prodotti farmaceutici.
COSA DICONO GLI ANALISTI
Nonostante gli annunci di Trump, secondo Barron’s, “la maggior parte degli analisti non prevede che i dazi sui prodotti farmaceutici raggiungano le tre cifre”. Tuttavia, “preferiscono le azioni di aziende che sono meno a rischio di danni e che hanno una minore esposizione alle sfide più ampie che il settore sta affrontando”.
Gli analisti di Cantor Fitzgerald, per esempio, hanno dichiarato in una nota pubblicata la scorsa settimana che tendono a preferire “le aziende dominanti, con una crescita rapida dei ricavi e buone prospettive per le vendite e gli utili fino agli anni 2030, nonché una relativa minore esposizione ai potenziali dazi”.
In particolare, tra i grandi nomi favoriscono Eli Lilly, AbbVie e Regeneron Pharmaceuticals, assegnando loro una valutazione di “Overweight”, attribuita anche a Gilead Sciences, Vertex Pharmaceuticals e Vaxcyte. Tutte statunitensi.
LA COMPETIZIONE PER I FARMACI ANTI-OBESITÀ
Carter Gould, analista di Cantor Fitzgerald, si aspetta poi che il maggiore produttore di farmaci per valore di mercato, Eli Lilly, consolidi ulteriormente la sua leadership nei farmaci contro l’obesità. Il produttore di Zepbound e Mounjaro infatti ha visto le sue azioni impennarsi due settimane fa dopo aver rilasciato risultati promettenti degli studi clinici per la sua nuova pillola dimagrante, Orforglipron.
Questo potrebbe metterla in una posizione di vantaggio rispetto alla danese Novo Nordisk che produce Ozempic e Wegovy, unico altro farmaco approvato dalla Food and Drug Administration per la perdita di peso.
GLI ANALISTI PUNTANO SU CHI SCEGLIE GLI USA
Dopo il successo ottenuto da alcune grandi case farmaceutiche con i vaccini anti-Covid, il settore negli ultimi anni non è stato risparmiato da difficoltà quali una crescita stagnante, previsioni non rispettate e fallimenti nei trial clinici di alto profilo. Ora, la minaccia dei dazi, stando a Barron’s, ha portato le azioni delle grandi aziende farmaceutiche a scendere del 4% finora quest’anno e del 7% dall’inizio del 2024.
Per Akash Tewari, analista di Jefferies, dazi al 25% potrebbero ridurre gli utili del settore di circa il 15%. Tuttavia, “gli sforzi di mitigazione, come l’accumulo di scorte, l’aumento dei prezzi dei farmaci o il trasferimento della produzione negli Stati Uniti, potrebbero ridurre i danni a una singola cifra bassa”. Anche per Tewari le aziende con la maggior parte delle loro vendite, produzione e proprietà intellettuali negli Stati Uniti potrebbero essere la scommessa più sicura.
IL PESO DEI DAZI SUGLI USA
Con la sua politica Trump potrebbe quindi convincere i produttori a spostarsi o ad ampliare la produzione negli Usa ma, secondo un rapporto condotto da Ernst & Young e visionato da Reuters, i dazi al 25% sulle importazioni di prodotti farmaceutici aumenterebbero i costi dei farmaci negli Stati Uniti di quasi 51 miliardi di dollari all’anno, con un incremento dei prezzi – se trasferito – fino al 12,9%.
L’analisi inoltre ha rilevato che nel 2023 gli Stati Uniti hanno importato 203 miliardi di dollari di prodotti farmaceutici, il 73% dei quali provenienti dall’Europa, soprattutto da Irlanda, Germania e Svizzera e le vendite totali di prodotti farmaceutici finiti nello stesso anno negli Usa sono state pari a 393 miliardi di dollari.