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Funerale di Bergoglio: mazzate vaticane e fuffa diplomatica

Che cosa si è detto e che cosa non si è detto sui funerali di Bergoglio. E come l'omelia ultra francescana di Re è passata colpevolmente in secondo piano giornalisticamente. Il commento di Battista Falconi

Mentre il celebrante cardinale Re proferiva un’omelia poderosa, assestando mazzate ai politici presenti a San Pietro (bene ha fatto Startmag a darne conto tempestivamente), i media si scannavano nell’esegesi delle immagini a margine del funerale di Bergoglio. Già qui si apre una prima, fondamentale distinzione: va bene l’iconografia, che nella storia cattolica ha un ruolo essenziale, ma prima di tutto viene il Verbo. Del quale il decano dei porporati si è fatto latore riprendendo le parole francescane più scomode e scontate: ultimi della terra, sofferenze e drammi della globalizzazione, Chiesa aperta a tutti, a chi è lontano, impegno per i profughi, confine Usa-Messico, orrori delle guerre, implorazione per la pace, ponti e non muri.

C’è tutta la pastorale basica e semplificatoria del papa defunto, in cui alcuni valori cristiani trovano applicazioni sommarie, oscurando la complessità dei temi trattati e riducendo per esempio la condanna del terrorismo islamico a una citazione marginale. Considerati l’autorevolezza di Re e i suoi rapporti con Bergoglio, la predica è stata più o meno quella che lui stesso avrebbe pronunciato. Un ottimo assist per gli opinionisti che però, ieri soprattutto e anche oggi, si sono più concentrati sulla fuffa delle mossettine diplomatiche. Un minuetto di scarso significato sul quale però l’attenzione era già esasperata.

In principio è stata Bruxelles a far trapelare l’ipotesi di vertici tra i leader, nonostante l’impossibilità di concentrarsi su questioni irrisolte tanto complesse, organizzando sicurezza e protocollo, a margine di un evento già complicato e rilevante. Ma i commentatori, troppo appassionati dall’interpretazione dell’Ue (von der Leyen, Belloni?) che vuole bruciare la mediazione di Giorgia Meloni, non si chiedono se si stia profilando una semplice e banale stretta di mano e che si parla di semplici “possibilità” e “non posso escludere”, a voler dire tutto ma soprattutto niente. Nel frattempo, invece, le agende e i programmi ufficiali di Trump, Macron e Zelensky alternano a distanza di ore previsioni opposte: “a Roma nessun incontro diplomatico”, “non previsti bilaterali”, “previsti incontri”, “vedrò Meloni e pochi altri sarebbe irrispettoso”, “incontro Zelensky-Trump possibile”, “in forse partecipazione Zelensky”.

Una mancanza di serietà sconcertante ma comoda per chi ami le chiacchiere anche cacofoniche, insignificanti e irriguardose, che non si sono sedate neppure davanti alla bara di Bergoglio: “il secondo incontro non c’è stato”, “von der Leyen e Trump hanno concordato di incontrarsi”… Poche, purtroppo, le raccomandazioni alla cautela, tra cui quella del presidente tedescoSteinmeier: “Diplomazia funebre, non aspettarsi troppo”.

A conferire presunto valore a questo protratto esercizio di cattivo gusto, giungono le immagini “storiche”. Le sedie frontali con Trump e Zelenzky, Macron che si avvicina inutilmente ai due, i quattro leader (c’è anche Starmer) che si salutano. In estrema sintesi e poca sostanza: il presidente Usa, per quanto e fino a quando conta, ha riaperto i contatti con Kyev al punto di lamentare a Putin l’incerta e vaga volontà di arrivare a un accordo; il presidente francese non ha vergogna né pudore di nulla, tanto da essersi imbucato persino alla tumulazione del feretro in virtù di un antico privilegio di cui nessuno ricordava; per il resto siamo alla battuta di Osho “nun aspettamo n’artro funerale pe vedesse”.

Ovviamente chi voleva ha trovato guazza sufficiente per dire che dalla postura delle sedie contrapposte emerge un “dialogo alla pari”, oppure che non si capisce chi stia confessando chi. Per gli opinionisti in servizio permanente effettivo tutto è utile a rilasciare expertise: che Bergoglio sia stato seppellito con le scarpe, che non ci sia stato il corale e immediato “santo subito” di Giovanni Paolo II, il balletto di numeri sulle presenze che fa impallidire quello tra questura e organizzatori delle manifestazioni. Per non parlare degli “ultimi” e dei trans che hanno accolto il feretro prima della sepoltura, senza ovviamente ricordare i ripetuti riferimenti afrociaggine e lobby gay di Bergoglio. A proposito della “faccia tosta” che un magnifico commento Rai (la cosiddetta Telemeloni) ha rivolto come accusa a Milei per essersi presentato in prima fila, evidentemente immemore dell’incontro di riconciliazione tra papa e presidente argentini.

Ma il detto e non detto di molti commenti è anche: e Meloni? Il presidente del Consiglio si è vista con chi ha potuto e dovuto ma senza mescolarsi al confuso minuetto diplomatico, è rimasta vicino a Mattarella, entrambi periferici per l’attenzione delle telecamere (e per il consecutivo vociare) che hanno ripreso leader e vip ammessi a San Pietro persino mentre facevano le foto con il cellulare, proprio come le “ale di folla” (sic, da un commento televisivo) di accompagno verso Santa Maria Maggiore. Meloni esclusa, defilata, oscurata oppure Meloni regista di quanto accaduto ieri sono le iconologie che si fronteggiano nei commenti. Persino alcuni non benevoli ammettono che l’esercizio di misura praticato dalla premier sia stato istituzionalmente non solo opportuno ma anche utile.

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