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Il Papa che (non) sarà eletto dal Conclave

Il Conclave? Potrebbe essere eletto un altro Papa di transizione, ma è abbastanza facile scommettere che il prossimo papa non sarà un altro gesuita. L'analisi di Manlio Graziano, docente di geopolitica delle religioni alla Paris School of International Affairs di Sciences Po, tratta da Appunti di Stefano Feltri

La Chiesa cattolica è sempre stata una complexio oppositorum, secondo la formula di Carl Schmitt: «Pare non possano darsi opposizioni che essa non riesca ad abbracciare», spiegava il pensatore tedesco nel 1923, all’indomani della Prima Guerra mondiale.

In quel conflitto, la Chiesa aveva riacquisito prestigio e credibilità proprio riuscendo ad essere al contempo la Chiesa patriottica e guerrafondaia dei diversi episcopati nazionali e la Chiesa universale e pacifista del centro romano: complexio oppositorum, appunto.

All’epoca, Benedetto XV non poteva disciplinare i vescovi dei vari paesi in guerra (anzi, li incoraggiò) per paura di una «nazionalizzazione» delle Chiese cattoliche locali – proprio come è successo in Ucraina nel 2018 sotto Porošenko; ma non poteva nemmeno rinunciare al carattere universalista della Chiesa; per questo, da Roma lanciò l’appello alla cessazione dell’«inutile strage».

Così, a guerra terminata, la Chiesa fu unanimemente lodata: dagli uni per il suo nazionalismo e dagli altri per il suo pacifismo.

Bergoglio ha fatto lo stesso con gli scismatici-non-scismatici americani, e per le stesse ragioni; ma, per ora, non con lo stesso risultato, anzi.

Ricordiamo che nel 1917, l’anno dell’appello di Benedetto XV, i fedeli cattolici dei vari paesi in guerra erano schierati con i loro governi e dietro ai propri eserciti, e avrebbero rigettato i loro stessi pastori se questi si fossero pronunciati contro la guerra (e d’altronde lo stesso papa fu aspramente accusato sia dai cattolici tedeschi che dai cattolici francesi di essere al servizio del nemico).

Oggi, i fedeli americani, almeno nella loro maggioranza, si riconoscono più nelle idee e nei propositi di Donald Trump e dei suoi cattolici di servizio che in quelle del defunto papa argentino, e di sicuro sopporterebbero male le prediche di sacerdoti che li spronassero ad amare il prossimo loro anziché lasciarglielo odiare in pace.

Non dimentichiamo che, in tre elezioni consecutive, la maggioranza dei cattolici americani ha votato per Trump, anche quando questi era in minoranza nel voto popolare, e anche quando era in competizione con il cattolico Joe Biden.

LA CHIESA NON È DEMOCRATICA

Questo è il vero problema della Chiesa oggi. Karol Wojtyła e Josef Ratzinger hanno più di una volta affermato esplicitamente che la Chiesa non è e non deve essere democratica.

«È un errore – disse Wojtyła al giornalista di Time Wilton Wynn – pensare di applicare i procedimenti democratici americani alla fede e alla verità. Non si può votare sulla verità. Non si può confondere il sensus fidei col consenso».

E, nel 1985, il cardinale Ratzinger aveva già messo in chiaro che «la Chiesa di Cristo non è un partito… la sua struttura profonda e ineliminabile non è democratica ma sacramentale, dunque gerarchica».

Il nocciolo del discorso è che il compito della Chiesa è fare opera di testimonianza, e quindi deve premunirsi da ogni possibile contaminazione dallo «spirito del tempo», anche – anzi, soprattutto – quando è in minoranza nelle società secolarizzate e decristianizzate.

La scelta dell’impopolare battaglia contro la legalizzazione dell’aborto, per esempio, fu fatta proprio per consolidare una minoranza organizzata e fortemente motivata intorno ai famosi principi «non negoziabili» controcorrente. Una Chiesa democratica si farebbe condizionare dallo spirito del tempo e perderebbe la sua identità, finendo con l’essere indistinguibile.

Ebbene, oggi la Chiesa cattolica, o almeno alcuni dei suoi dirigenti, si stanno democratizzando, nel senso che tendono a compiacere i sentimenti del proprio gregge più che quelli del loro pastore di Roma.

Paradossalmente, ma non troppo, i più «democratici» sono quelli che, per non perdere il contatto con i loro fedeli, si adeguano più facilmente ai sentimenti più reazionari della loro maggioranza.

La polarizzazione a destra o all’estrema destra dei cattolici è un processo in corso non solo in America, ma anche in Francia, dove i cattolici più vicini alle attività della Chiesa, ai sacramenti e alle funzioni religiose sono i più reazionari: un’inchiesta del 2022 rivelava che il 71 per cento dei cattolici praticanti era pronto a votare alle presidenziali per Éric Zemmour, creatore di un partito a destra dell’estrema destra, secondo cui il regime di Vichy avrebbe salvato gli ebrei francesi durante la guerra (per la cronaca, il regime di Vichy collaborò all’arresto e alla deportazione degli ebrei, e a volte ne prese l’iniziativa).

Per ora, il clero francese ha continuato a ripetere parole di bontà, solidarietà e accoglienza ai suoi fedeli, il 71 per cento dei quali vorrebbe deportare gli immigrati e mettere l’islam fuorilegge.

Vedremo quanto a lungo resisterà alla tentazione, il clero francese; probabilmente molto dipenderà da chi sarà eletto Papa a maggio.

LE SCELTE DEL CONCLAVE

Al conclave, i cardinali nominati da Bergoglio sono l’enorme maggioranza. Ma questo vuol dire poco.

Intanto perché, in questi casi o in assemblee simili, vi sono sempre tre poli: ai due estremi, due poli minoritari ma con idee molto chiare; in mezzo, la maggioranza della palude, che, per sua natura, è fluida e dunque manovrabile.

I cardinali americani – che, si noti bene, non sono tutti schierati su posizioni conservative – sono una piccola minoranza (10 su 135), ma lo erano anche nel 2013 quando la loro attività di lobbying fu decisiva per l’elezione di Bergoglio.

I cardinali conservative, se dovessero incrociare i ferri con quelli «progressisti», potrebbero contare, paradossalmente, su molti colleghi arrivati dal «Sud globale», molti dei quali nominati da Bergoglio con l’intento di «de-occidentalizzare» la Chiesa. È nel «Sud», infatti, e in particolare in Africa, che certe timide aperture nei confronti degli omosessuali e delle donne sono state vissute con più disagio, se non con aperta ostilità.

La campagna anti-woke, che ha avuto un ruolo importante nelle elezioni americane di novembre 2024, potrebbe svolgerlo anche sotto la volta della cappella Sistina.

In secondo luogo, i cardinali americani, oltre ai pacchetti di voti controllano anche cospicui pacchetti di dollari, la Chiesa cattolica americana essendo il maggiore contribuente alle finanze vaticane. E questo ha un peso non indifferente: lo ha avuto nel passato e lo avrà anche al prossimo conclave.

Per concludere, Bergoglio è stato soprattutto sfortunato. Gli è toccato guidare la Chiesa in un periodo di transizione storica, in cui i sentimenti delle popolazioni, compresi quelli di gran parte dei cattolici, sono diventati sempre più gretti, intolleranti ed egoistici.

Ci ha però anche messo del suo, forse perché, primo Papa gesuita nella storia, non aveva precedenti a cui richiamarsi e ha pensato di poter governare la Chiesa come se fosse la Compagnia di Gesù.

Impossibile sapere chi gli succederà, ovviamente. Se vince la palude, o se il conclave opta per prendere tempo, potrebbe venirne fuori un altro Papa di transizione, in attesa di vederci più chiaro; ma è abbastanza facile scommettere che il prossimo papa non sarà un altro gesuita.

(Estratto da Appunti)

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