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Tutti i subbugli di Google, Meta, Uber, Apple e non solo negli Usa

Col passare dei giorni Trump sembra giocare con i miliardari della Silicon Valley come il gatto col topo. Da Google a Meta fino ad Apple, le Big Tech hanno visto moltiplicare i propri problemi in patria. E a nulla sembrano essere servite le lusinghe (e gli assegni) degli imprenditori verso il nuovo inquilino della Casa Bianca

C’è chi ha calcolato che alla cerimonia di insediamento di Donald Trump avessero sfilato paperoni per 1.200 miliardi di dollari, una cifra superiore a molti Pil nazionali. Tutti corsi a baciare ossequiosamente la pantofola al nuovo presidente degli Usa nella speranza di ottenere un trattamento di favore, un ammorbidimento della politica economica fatta di dazi, prove muscolari e ceffoni minacciata a più riprese dal tycoon in campagna elettorale. Invece quella ciabatta, finora, diversi miliardari se la sono presa in faccia, col nuovo corso americano che non sembra fare particolarmente bene agli affari dell’imprenditoria tech e del web, come se fosse tutto a un tratto scoppiata una “lotta generazionale” tra il vecchio modo di far quattrini, di cui Trump è un fiero esponente, e il nuovo.

CON MUSK ALLA CASA BIANCA TESLA HA SMESSO DI CORRERE

Oltre al tracollo di Tesla, che nel corso del primo trimestre del 2025 ha visto smagrire la propria cedola in Borsa del 40 per cento, con l’utile netto del gruppo dell’auto elettrica tracollato del 71% a 409 milioni di dollari, evidente “danno collaterale” della nuova vita pubblica di Elon Musk, sono diversi i colossi statunitensi nel pieno delle tribolazioni. Il Dipartimento di Giustizia e la Federal Trade Commission hanno iniziato a bussare con insistenza alle loro porte.

FERGUSON FARA’ RIMPIANGERE LA FAMIGERATA KAHN?

E chi credeva che il periodo peggiore per i propri affari, rappresentato dalla presidenza di Joe Biden che aveva messo la Ftc nelle mani di Lina Kahn, famosa per aver denunciato per prima lo strapotere di Amazon, fosse finito perché alla Casa Bianca siede ora un imprenditore ugualmente sordo e insofferente ai lacci e ai lacciuoli della regolamentazione, è stato smentito. Andrew Ferguson, avvocato 38enne, repubblicano ma soprattutto trumpianissimo, sembra persino più agguerrito di chi l’ha preceduto.

OLTRE A GOOGLE, META E APPLE ORA GUAI PURE PER UBER

“Gli americani sono stanchi di ricevere abbonamenti indesiderati che sembrano impossibili da annullare”, ha sbottato il presidente della Ftc nella nota che accompagna la decisione di procedere contro Uber, accusata di pratiche e di modalità per la cancellazione degli account “ingannevoli”. Gli avvocati del player dei trasporti nato sul Web definiscono l’indagine “affrettata” e ostentano tranquillità sostenendo che nel dibattimento dimostreranno che è stata basata su “incomprensioni”.

GOOGLE INSEGUITA DA FTC E DIPARTIMENTO DI GIUSTIZIA

Lo schiaffo più clamoroso finora è stato assestato in direzione di Mountain View, con Google che – è stato messo nero su bianco da un giudice federale della Virginia – accusata di avere costruito illegalmente un “potere monopolistico” con la sua attività di pubblicità sul web. Si dirà che Trump e Ferguson non c’entrano, ed è vero soprattutto per il secondo, ma è la medesima accusa portata avanti dal Dipartimento di Giustizia – di nomina trumpiana – eventualmente destinata a rimodellare il business di una delle aziende Usa più potenti. Insomma, il nuovo presidente lascia correre.

Del resto è la terza sentenza del genere da quando una giuria federale, nel dicembre 2023, ha stabilito che anche l’app store proprietario di Google costituisce un monopolio illegale. Si fa sempre più probabile l’attuazione dello spezzatino, ovvero della possibilità di ottenere da Mountain View la vendita di interi settori, per ripristinare il gioco della concorrenza. Testimoniando a Washington per il processo antitrust a Google, uno dei dirigenti di OpenAi, Nick Turley, ha dichiarato che la società di ChatGpt sarebbe interessata ad acquistare Chrome nel caso in cui le autorità ne imponessero la vendita. E già si profilano nuovi equilibri all’orizzonte, ma anche nuovi mal di pancia per Musk, che non smette di intentare cause contro il Ceo di OpenAi, Sam Altman.

APPLE MORSICATA DA TRUMP

La ragnatela che Google ha silenziosamente tessuto per posizionarsi al centro del Web e, parallelamente, diventare coi suoi software il cuore tecnologico dei device portatili, se toccata, potrebbe danneggiare seriamente anche gli affari di altri soggetti. Come Apple, che da Google riceve annualmente 20 miliardi per presentare sui propri dispositivi il motore di ricerca sviluppato dal colosso guidato da Sundar Pichai. Risalenti dichiarazioni dei manager di Cupertino avevano già spiegato che per Apple fosse più conveniente procedere così piuttosto che sviluppare da zero prodotti proprietari.

E questo la dice lunga sulla delicatezza della questione, se si considera che la Mela morsicata è puntualmente accusata di costruire ecosistemi chiusi. Ma Apple è pure una delle aziende tecnologiche che più sta soffrendo i dazi e i diktat trumpiani, culminati nella richiesta di un iPhone “di stato”, ovvero interamente made in Usa, che al momento è inattuabile. Tim Cook aveva provato a ottenere qualche deroga facendosi dettare il piano industriale dalla Casa Bianca con la promessa di attuare un giga-investimento da più di 500 miliardi di dollari negli Stati Uniti nei prossimi quattro anni accompagnata da 20mila assunzioni. Ma a quanto pare il tycoon non è soddisfatto.

UNA META A META’?

Pure Meta è finita davanti alla Federal Trade Commission con un processo iniziato lo scorso 14 aprile dal quale il gigante tecnologico che più di ogni altro ha calcato sul riposizionamento politico cercherà di difendersi disinnescando la minaccia dello scorporo di Instagram e WhatsApp, quasi inevitabile se fossero confermate le accuse di avere agito in modo da soffocare la concorrenza.

Kevin Systrom, co-fondatore di Instagram, ha testimoniato accusando Mark Zuckerberg di aver ostacolato la crescita dell’app dopo l’acquisizione nel 2012 da parte di Facebook. Systrom ha affermato che Fb non avrebbe fornito risorse sufficienti, ipotizzando che Zuckerberg temesse che l’espansione di Instagram sarebbe finita col danneggiare la sua piattaforma social.

TIKTOK ANCORA NEGLI USA

In tutto ciò la principale avversaria di Mr. Facebook, la piattaforma social cinese TikTok, non solo è ancora attiva negli States proprio grazie al pronto intervento di Trump che è intervenuto ben due volte per disinnescare una legge promulgata da Biden, ma potrebbe persino aggredire Menlo Park nel mercato degli occhiali smart e dei visori, che Meta presidia da anni, anche con investimenti multimiliardari infruttuosi nel metaverso.

Meta non è più l’azienda inclusiva dei corsi sulla Diversity e Inclusion. Ha preso nel board diversi trumpiani di spicco (da Joel Kaplan, ex capo di gabinetto di Bush Jr., in qualità di Chief Global Affairs Officer al trumpissimo Dana White fino alla recente nomina di Dina Powell McCormick, membro della prima amministrazione Trump), ha rimborsato lautamente Trump per la storia del ban dai social e si è impegnata a investire tra i 60 e i 65 miliardi di dollari per potenziare la sua capacità computazionale e far correre il comparto dell’Intelligenza artificiale a stelle e strisce. Tutte mosse che finora non sembrano bastate per metterla al riparo sotto l’ombrello presidenziale. Che anzi mai come in questo caso per le Big Tech Usa pare l’ombrello di Altan…

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