Poche ore prima dell’annuncio di Donald Trump dei dazi contro il resto del mondo, erano spuntate indiscrezioni sulla possibilità di una risposta comune da parte di Cina, Giappone e Corea del Sud. Un’indiscrezione rimbalzata dai media cinesi, ma frenata nel giro di poco tempo da rappresentanti coreani e giapponesi. Dopo una decina di giorni, la certezza è che le reazioni di Pechino, Tokyo e Seul saranno tutto tranne che uguali. Anche se bisogna considerare che i tre paesi hanno tre differenti percentuali di tariffe da affrontare.
PECHINO RISPONDE AI DAZI CONTRATTACCANDO
La risposta della Cina ai dazi statunitensi è stata veemente. Pechino, infatti, ha promesso di “combattere fino alla fine”, come affermato dal portavoce del ministero degli Esteri, Lin Jian. Secondo l’amministrazione cinese, la mossa degli Usa è un ricatto e il presidente Trump sta collezionando errori su errori. La reazione cinese di imporre controdazi al 34% e poi all’84%, in vigore dalla mezzanotte tra mercoledì e giovedì, ha infatti portato Trump a ventilare nuove minacce. Il presidente Usa ha alzato l’asticella, parlando di tariffe ulteriori del 50% e quindi alzando la quota totale – considerando quelle già annunciate – potenzialmente al 104%. Lo scontro commerciale tra Stati Uniti e Cina sembra avvicinarsi, nonostante siano ancora in piedi tentativi di trattative.
E Pechino si prepara anche con altre misure. Con l’obiettivo di stabilizzare il mercato dei capitali, la Cina infatti ha annunciato alcune misure per ripristinare la fiducia degli investitori. Diverse società di gestione del capitale statali hanno reso noto un aumento delle loro partecipazioni in azioni nazionali, supportate anche dalle istituzioni economiche e politiche cinesi. La Banca Popolare Cinese sosterrà la liquidità con strumenti di rifinanziamento, la Central Huijin Investment Ltd ha aumentato le sue partecipazioni in exchange-traded fund (ETF).
Intanto, in queste ore, il Consiglio di Stato della Repubblica popolare cinese ha pubblicato un libro bianco dal titolo ‘Posizione della Cina su alcune questioni relative alle relazioni economiche e commerciali tra Cina e Stati Uniti’. Un documento ufficiale in cui si dice che, in risposta ai dazi Usa, Pechino “non ha altra scelta che adottare contromisure energiche e difendere con fermezza i propri interessi nazionali”.
IL GIAPPONE NEGOZIA CON TRUMP
Al contrario della Cina, il Giappone ha scelto una strada diversa, quella dei negoziati. Il premier Shigeru Ishiba ha sentito al telefono Trump, per cercare di convincerlo a ripensare i dazi annunciati. Per Tokyo la soglia ‘reciproca’ annunciata dalla Casa Bianca è del 24%, a cui si deve aggiungere il 25% sulle esportazioni di auto verso gli Usa. Percentuali che fanno stimare una riduzione della crescita fino allo 0,8%. I due leader, nel colloquio telefonico, hanno stabilito di proseguire un dialogo costruttivo e soprattutto di nominare dei ministri specifici per negoziare.
Il Giappone, quindi, è riuscito a diventare il primo grande attore economico a cui Washington concede negoziati diretti sul dossier dazi. Non ci sono certezze sui risultati, ma è un passo avanti. E lo ha compiuto anche per via della sua posizione di creditore degli Usa. Pur non rendendo noti i dati sulla composizione dei circa 1,27 trilioni di dollari in riserve estere del Giappone, Tokyo avrebbe una quota di titoli del Tesoro statunitense molto consistente. Tuttavia, il ministro delle Finanze giapponese Katsunobu Kato ne ha escluso l’utilizzo come leva per contrattare sulle tariffe.
NIENTE RITORSIONI DALLA COREA DEL SUD
La Corea del Sud sembra voler seguire il percorso del Giappone. I dazi contro Seul annunciati da Trump sono del 25% e il presidente ad interim Han Duck-soo ha dichiarato che “chiaramente vorrebbe negoziare” con gli Usa. Han, che sta svolgendo il ruolo di capo di Stato dopo la destituzione di Yoon Suk-yeol, ha cercato di premere sulla “fortissima alleanza” con gli Stati Uniti. Anche lui ha sentito al telefono Trump. Una reazione comune ai dazi insieme a Giappone e Cina è stata esclusa dal leader coreano: “Non credo che migliorerà la situazione in modo significativo”.
Grazie a un forte background economico, una tesi di dottorato ad Harvard incentrata sulle soluzioni economiche agli shock esterni per la Corea del Sud, 50 anni di politica e un’esperienza da ambasciatore negli Usa, Han sembra avere una strategia mirata. Secondo lui, bisogna valutare con calma effetti e possibili soluzioni ai dazi che comunque sono “un peccato”. Nessuna ritorsione immediata quindi, come deciso dalla Cina, ma la strada deve essere la ricerca di accordi. “La globalizzazione non è morta, non potrà mai esserlo”, ha detto il presidente ad interim coreano. Sembra un grido di speranza più che un avvertimento.