Colpire duro con dazi di ritorsione simmetrici equivalenti a quelli americani? Oppure limitarsi a una risposta simbolica nella speranza di convincere Donald Trump con poche concessioni? Gli Stati membri dell’Unione europea sono sempre più divisi sul modo migliore di rispondere alla guerra tariffaria globale lanciata da Trump mercantile 2 aprile. Ma la Commissione di Ursula von der Leyen, a cui spetta il compito di trovare una soluzione in nome e per conto di tutti i ventisette, è confrontata a un altro problema: l’assoluta imprevedibilità e la totale improvvisazione dell’Amministrazione americana.
“Sembra che non ci sia ordine nel disordine”, ha detto von der Leyen, commentando la guerra tariffaria globale scatenata da Trump mercoledì sera. E non c’è “nessun percorso chiaro per attraversare la complessità e il caos che si stanno creando nel momento in cui tutti i partner commerciali degli Stati Uniti vengono colpiti”, ha aggiunto la presidente della Commissione. Se non c’è chiarezza su ciò che vuole Trump, se non c’è prevedibilità su quel che potrebbe fare, negoziare un compromesso basato sull’interesse reciproco è praticamente impossibile per l’Ue.
I funzionari della Commissione, come la maggior parte degli economisti, sono rimasti a bocca aperta quando Trump ha presentato le aliquote dei dazi che colpiranno i diversi paesi e le diverse giurisdizioni in giro per il mondo. Non tanto per l’ammontare astronomico, che era atteso, ma per la metodologia adottata dall’Amministrazione americana. Trump aveva annunciato “dazi reciproci”. Nel suo intervento lungo un’ora nel Rose Garden della Casa Bianca, si è soffermato a lungo sulla spiegazione del concetto: mettere dazi di un valore equivalente non solo alle tariffe degli altri paesi contro gli Stati Uniti, ma che includano anche le barriere non tariffarie, tasse come l’Iva e le manipolazione delle valute. Peccato che la formula usata per stabilire i dazi per ciascun paese non corrisponda in nulla a ciò che ha annunciato Trump.
“Calcolare individualmente gli effetti del deficit commerciale di decine di migliaia di tariffe, normative, tasse e altre misure in ciascuno paese è complesso, se non impossibile”, ha riconosciuto l’Ufficio del rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti, illustrando la formula utilizzata per imporre i nuovi dazi reciproci. Così l’Amministrazione Trump ha scelto di ricorrere a una semplice divisione da scuola media: il valore reale delle esportazioni di un paese verso gli Stati Uniti diviso per valore reale del deficit commerciale americano rispetto a quello specifico paese. Rivendicando la sua magnanimità, Trump ha annunciato uno sconto del 50 per cento.
I risultati sono sorprendenti ed economicamente assurdi. A cominciare dall’Ue. Nel 2024 il deficit commerciale americano con gli Stati Uniti è stato di 235,6 miliardi. Le esportazioni dell’Ue negli Usa ammontavano a 605,7 miliardi. La formula adottata dall’Amministrazione è stata questa: 236,6 miliardi : 605,8 miliardi = 0,39. Cioè 39 per cento che, con lo sconto del 50 per cento di Trump e l’arrotondamento, diventa un dazio del 20 per cento. Il Regno Unito e la Svizzera, che hanno dazi, sistemi fiscali e regolamentazioni simili a quelli dell’Ue, si sono visti applicare dazi completamente diversi: 10 per cento per Londra, 31 per cento per Berna. La ragione è semplice: gli Stati Uniti hanno un avanzo commerciale con il Regno Unito, mentre registrano un disavanzo profondo con la Svizzera. Gli effetti della formula sono particolarmente violenti per i paesi più poveri che, potendo importare poco o nulla dagli Stati Uniti, si sono visti imporre dazi vicini al 50 per cento. Le isole disabitate di Heard e McDonald (territori dell’Australia sperduti vicino all’Antartica dove vivono solo pinguini e foche) si sono viste imporre un dazio del 10 per cento.
Nei dazi di Trump “non c’è niente di reciproco”, ci ha spiegato un funzionario europeo. L’Ue applica un dazio medio del 5 per cento, secondo l’Organizzazione mondiale del commercio. Ma il dazio effettivamente applicato agli Stati Uniti dall’Ue è dell’1,2 per cento. Entrambi i numeri sono ben lontani dal 39 per cento calcolato dall’Amministrazione americana o dal 20 per cento imposto da Trump. Tanto più se si guarda al dazio effettivamente applicato dagli Stati Uniti all’Ue: 1,4 per cento. Ma non c’è nemmeno niente di politico o razionale nei dazi di Trump. Colpendo tutti e tutto, compresi i prodotti che l’America non produce come il caffè o le banane. I costi per i consumatori e le imprese americane saranno enormi. La riduzione delle esportazioni europee verso gli Stati Uniti anche.
La Commissione ha fatto una stima dei tre pacchetti di dazi annunciati finora da Trump. Quello contro alluminio e acciaio colpisce 26 miliardi di euro di esportazioni dell’Ue e porterà a 6,5 miliardi di euro di nuovi dazi. Quello contro le automobili e la componentistica colpisce 66 miliardi di euro di esportazioni dall’Ue e porterà a 16,5 miliardi di euro di nuovi dazi. Quello sui cosiddetti “dazi reciproci” colpisce 290 miliardi di euro di esportazioni dell’Ue e porterà a 58 miliardi di euro di nuovi dazi. I nuovi dazi saranno pagati dai consumatori e dalle imprese americani. Ma l’Ue deve reagire con contromisure se non vuole vedere le sue imprese delocalizzare la produzione negli Stati Uniti per aggirare i dazi, come chiede di loro di fare Trump. “Siamo pronti a rispondere”; ha assicurato von der Leyen. “Ma c’è una strada alternativa. Non è troppo tardi per risolvere le preoccupazioni con i negoziati”, ha aggiunto la presidente della Commissione.
Il commissario al Commercio, Maros Sefcovic, ha avuto una conversazione telefonica con le sue controparti americane. Ma i suoi funzionari brancolano nel buio su ciò che vogliono gli americani. Da settimane Sefcovic e la sua squadra, come quella di von der Leyen, cercano di capire come trovare un compromesso. “Chiedetelo voi agli americani”, ha detto un funzionario ai giornalisti, sbottando quando gli è stato chiesto quali siano le condizioni poste dall’Amministrazione Trump per un “deal”. E’ stata fatta un’offerta di comprare più gas naturale liquefatto e più armi, di abbassare il dazio europeo sulle automobili americane (attualmente al 10 per cento contro il 2,5 per cento degli Stati Uniti prima del “Liberation Day”), di trovare una tregua sulla regolamentazione europea sul digitale. Nulla ha funzionato.
“Agiremo in modo calmo, attentamente graduale e unito, mentre calibriamo la nostra risposta, lasciando tempo adeguato per i colloqui”, ha detto Sefcovic. Mercoledì 9 aprile i governi voteranno sulla proposta di contromisure commerciali su alluminio e acciaio, che dovrebbero entrare in vigore tra il 15 aprile e il 15 maggio. Le contromisure sui dazi contro le automobili e sui dazi reciproci di Trump saranno presentate dalla Commissione tra la fine di aprile e l’inizio di maggio. Il negoziato con i governi si annuncia complicata. Francia e Belgio insistono per la linea dura, facendo ricorso anche allo strumento anti-coercizione dell’Ue che permette di colpire i servizi, tra cui quelli del digitale. “La decisione della scorsa notte è paragonabile alla guerra di aggressione contro l’Ucraina. La magnitudo e la determinazione della risposta deve essere commisurata”, ha detto il vice-cancelliere tedesco, Robert Habeck. Ma altri paesi – come Italia e Irlanda – fanno pressione su von der Leyen per evitare un’escalation e limitare al minimo i dazi di ritorsione contro Trump.
Nel governo di Giorgia Meloni in Italia ci sono già voci, come quella del leader della Lega, che accusano l’Ue di aver aumentato il costo dei dazi di Trump. Von der Leyen è accusata di volersi “vendicare” contro il presidente repubblicano e di cercare una guerra commerciale che penalizzerebbe l’industria italiana. La realtà è un’altra. L’Italia viene risparmiata grazie alla sua appartenenza all’Ue. Se Trump avesse applicato la sua semplicistica formula ai singoli paesi europei, l’Italia avrebbe dovuto subire un dazio del 32 per cento, più del 31 per cento imposto alla Svizzera e del 20 per cento imposto all’Ue. Senza l’Ue l’Italia avrebbe dovuto pagare un dazio più alto di Germania e Francia, a cui la formula di Trump avrebbe inflitto un’aliquota del 25 per cento e del 14 per cento. Nel caos tariffario di Trump, anche i suoi alleati populisti brancolano alla ricerca di una via di fuga. Ma per loro è un’abitudine.