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Cari lobbisti, attenti alla carica dei flexian

C'è una novità rilevante nel lobbismo. Fatti, nomi e curiosità

In piena “stakeholder economy”, le società di lobbying vanno a gonfie vele. Servono a leggere la scacchiera politica, se non a orientarne le mosse, e pure i grandi fondi di private equity sono abituati a servirsene. Non sempre, però, la scelta ricade su vere e proprie società di lobbying, bensì su figure che hanno un altro cappello ma nei palazzi del potere sono di casa. E qualche lobbista di lungo corso inizia a innervosirsi.

Il fondo americano Kkr, per esempio, si è servito della sapiente opera di Vittorio Grilli, a lungo ai vertici del Tesoro, per negoziare con Palazzo Chigi lo scorporo della rete Tim: in Fibercop, Kkr fa il bello e il cattivo tempo, come dimostrano le ultime cronache del Financial Times (indovinate un po’ chi erano le fonti…).

Dei consigli di Grilli si serve pure Francesco Milleri della Delfin – la holding finanziaria della famiglia Del Vecchio – nell’eterna lotta per la conquista delle Generali, dove ormai il governo ha gettato la maschera, visto anche che Mps – controllato da Mef, Caltagirone e Delfin – si è lanciato alla conquista di Mediobanca e dunque, indirettamente, pure delle Assicurazioni Generali.

Andrea Zoppini, l’accademico e avvocato di grido romano, è a sua volta gettonatissimo quando c’è il Palazzo di mezzo (qualunque palazzo, bisbiglia qualche maligno di professione), e Banco Bpm non ha esitato ad arruolarlo contro l’Ops orchestrata da Unicredit capeggiata da Andrea Orcel.

A fare gli straordinari da tempo è anche il cardinal Richelieu di Caltagirone, Fabio Corsico, che al lavoro di responsabile delle Relazioni esterne, Affari istituzionali e Sviluppo del gruppo Caltagirone associa – essendo molto apprezzate le sue vaste relazioni anche giornalistiche – numerosi altri impegni di peso. Come quello di vicepresidente di Anima, l’asset manager partecipato (guarda caso) da Caltagirone, Poste e Bpm, senior advisor di Jefferies, banca d’affari bene inserita nel risiko bancario, e del fondo di debito francese Tikehau (dove ha traslocato Mustier dopo aver lasciato la guida di Unicredit), oltre che del Credit Suisse, come si evince dal suo lungo curriculum.

Difficile non menzionare anche Simone Crolla, ex storico braccio destro di Marcello Dell’Utri, ex vice capo segreteria di Berlusconi a Chigi (2002-2006), che è da tempo consigliere delegato di AmCham e da sempre consulente di grandi realtà internazionali. Oltre ad essere già nel cda di Core, societa romana di advocacy, è tra i fondatori di Haizum, una srl di Milano di cui è presidente, senza avere ruolo operativo. Haizum non è per nulla trumpiana visto quelli che si legge sul sito (“At Haizum, we are committed to the values of diversity, equity and inclusion: everybody, regardless of their cultural background, ethnicity, sexual orientation, gender identity, expression, disability or religion, must be able to fully participate in our firm and in general in society to fully develop their personality, wherever they are in the world”) ma basta davvero poco per svoltare, vedi il caso di Meta, ad esempio (bellissima e raffinatissima l’intervista dell’ex bushiano Joel Kaplan rilasciata a un estatico Claudio Cerasa, direttore del Foglio, che i tra i big dell’industria, della finanza e della tecnologia surfa con amabilità e perizia). È possibile che con alcuni grandi investitori a stelle e strisce (tra cui BlackRock?) interessati ad avere una lettura più accurata di questa fase geopolitica di difficile interpretazione potrebbero esserci delle identità di vedute.

La lista di questi casi rischia di essere parecchio lunga, e c’è n’è più che a sufficienza da scomodare l’antropologa Janine R. Wedel. Quella che ha sviluppato l’idea di shadow élite per definire un nuovo tipo di reti di potere e influenza, i cui protagonisti sono i “flexian”. Caratterizzati da maggiore flessibilità rispetto ai tradizionali gruppi di interesse, questi soggetti non si accontentano di organizzarsi in gruppi permanenti (flex net) in maniera da moltiplicare il proprio potere di influenza. Non li vincola un ideale condiviso, e, a seconda delle volte, si fa grande fatica a distinguere quale dante causa li muove. Di romantico, a ben vedere, c’è ben poco.

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