Se fosse vero il consiglio alla prudenza, moderazione e quant’altro attribuito da qualche indiscrezione giornalistica a Giulia Bongiorno nel momento di ricevere il mandato difensivo da Giorgia Meloni nell’affare del generale libico rimpatriato di cui è stato investito il tribunale dei ministri, la premier ha…disobbedito. Non solo alla Bongiorno intesa come avvocato suo, dei ministri Piantedosi e Nordio e del sottosegretario Mantovano, interessati pure loro all’iniziativa giudiziaria alla quale la Procura della Repubblica di Roma si è considerata obbligata dall’esposto dell’avvocato Luigi Li Gotti, ma anche come presidente della Commissione Giustizia del Senato. Una sovrapposizione di ruoli che le fu contestata dalle solite opposizioni anche quando Bongiorno assunse la difesa del collega e leader di partito Matteo Salvini nel processo per sequestro di persona, Conclusosi notoriamente a favore del suo assistito.
La Meloni non solo è tornata a protestare contro la magistratura da lei avvertita come invasiva e un po’ anche disfattista, nuocendo “alla Nazione” le indagini a carico suo e dei colleghi di governo, ma ha “alzato il tiro” o ha proceduto all’”affondo”, come hanno titolato, rispettivamente, Repubblica e il Corriere della Sera.
La premier ha accusato i magistrati -non tutti ma quelli sufficienti a incidere- di volere “governare” a loro modo il Paese rubandole mestiere e ruolo, ma senza risponderne a nessuno. Mentre lei risponde agli elettori. Oltre che al Parlamento che le accorda la fiducia e potrebbe revocargliela, come è accaduto a qualche suo predecessore come Romano Prodi. Che se la vide negare in entrambe le esperienze non lunghe avute di presidente del Consiglio, a distanza di dieci anni l’una dall’altra.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, presidente anche del Consiglio Superiore della Magistratura, che peraltro ha appena compiuto il decimo anno del suo doppio mandato quirinalizio, alla cui scadenza ne mancano ancora quattro, è stato immaginato da qualche retroscenista in imbarazzo, se non contrariato dalla piega che sta prendendo l’ennesima battaglia della guerra più che trentennale fra la politica e la giustizia, o fra la magistratura e il governo.
Ma, retroscena per retroscena, ce n’è anche uno, sulla prima pagina del Messaggero, secondo cui la premier si sarebbe personalmente recata al Quirinale per informare il Capo dello Stato, prima di prendere di contropiede la Procura della Repubblica di Roma svelando e criticando l’avviso di garanzia ricevuto. Che l’associazione nazionale dei magistrati ha subito ridimensionato in “comunicazione giudiziaria”, con una distinzione che ha contribuito ad alimentare altre polemiche, anziché a ridurle.
La tempesta, che le opposizioni non vedono l’ora di scatenare a loro modo anche nelle aule parlamentari, protestando perché ciò non sia ancora avvenuto, continuerà a livello mediatico e politico malgrado anche il fastidio, ripeto, attribuito a torto o a ragione a Mattarella.