Offensiva giudiziaria sul nucleo centrale del governo: il premier, Giorgia Meloni, i ministri della Giustizia e dell’Interno, Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con delega ai servizi segreti, Alfredo Mantovano, indagati sul caso Almasri per favoreggiamento e peculato.
Un’offensiva tale da far ricordare il clima dell’accanimento giudiziario nei confronti di Silvio Berlusconi e prima ancora quello di “mani pulite”. Un clima di attacco da parte dei Pm mai registratosi in queste dimensioni nei confronti di governi di centrosinistra. “Siamo all’uso politico della giustizia portato all’estremo. Così si viola la Costituzione”, va giù duro il capogruppo di Forza Italia in Senato, Maurizio Gasparri. E molto duro è il segretario di Forza Italia, vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani: “Sembra una ripicca nei confronti della riforma della giustizia”.
Tutta la maggioranza, a partire da Fratelli d’Italia, con la Lega di Matteo Salvini, che denuncia: “Vergogna, vergogna, riforma della giustizia subito”, fa quadrato attorno al premier e a mezzo governo raggiunto dagli avvisi di garanzia. È la stessa Meloni a darne notizia in un video attorno alle cinque della sera di un giorno che non verrà dimenticato nel trentennale attacco da parte dei settori più politicizzati della magistratura, le cosiddette “toghe rosse”, a governi di centrodestra o comunque non di sinistra, come lo era il pentapartito.
Meloni nel video diffuso via social è dura e incisiva nei confronti del provvedimento della procura di Roma: “Il procuratore della Repubblica Francesco Lo Voi, lo stesso del fallimentare processo a Matteo Salvini per sequestro di persona, mi ha appena inviato un avviso di garanzia per i reati di favoreggiamento e peculato in relazione alla vicenda del rimpatrio del cittadino libico Almasri, avviso di garanzia che è stato inviato anche ai ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e al sottosegretario Alfredo Mantovano”.
L’iniziativa sarebbe arrivata, attacca il premier, “presumo a seguito di una denuncia che è stata presentata dall’avvocato Luigi Li Gotti, ex politico di sinistra, molto vicino a Romano Prodi (Li Gotti già nell’ ‘Italia dei valori’ di Antonio Di Pietro fu sottosegretario nel governo Prodi/2), conosciuto per aver difeso pentiti del calibro di Buscetta, Brusca e altri mafiosi”.
Meloni poi viene ai fatti contestati: “La Corte Penale Internazionale, dopo mesi di riflessione, emette un mandato di arresto internazionale nei confronti del capo della Polizia Giudiziaria di Tripoli”. Ma, sottolinea, “curiosamente la Corte lo fa proprio quando questa persona stava per entrare sul territorio italiano dopo che aveva serenamente soggiornato per circa 12 giorni in altri tre Stati europei. La richiesta di arresto della Corte Penale Internazionale non è stata trasmessa al ministero italiano della Giustizia come invece è previsto dalla legge e per questo la Corte d’Appello di Roma decide di non procedere alla sua convalida”.
“A questo punto – spiega Meloni – questo soggetto libero sul territorio italiano, piuttosto che lasciarlo libero, noi decidiamo di espellerlo e rimpatriarlo immediatamente per ragioni di sicurezza con un volo apposito, come accade in altri casi analoghi. Questa è la ragione per la quale la procura di Roma oggi indaga me, il sottosegretario Mantovano e due ministri”. Conclusione: “Allora, io penso che valga oggi quello che valeva ieri: non sono ricattabile – scandisce la premier – non mi faccio intimidire. È possibile che per questo sia invisa a chi non vuole che l’Italia cambi e diventi migliore, ma anche e soprattutto per questo intendo andare avanti per la mia strada, a difesa degli italiani, soprattutto quando è in gioco la sicurezza della nazione, a testa alta e senza paura”.
Giovanni Donzelli, capo dell’organizzazione di FdI denuncia le “sponde” della sinistra all’offensiva giudiziaria. Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, parla di “tempistica che lascia perplessi”, riferendosi evidentemente allo sciopero e alle manifestazioni di protesta delle toghe contro la separazione delle carriere, pilastro della riforma della giustizia.
Ma Enrico Costa, deputato di Forza Italia, da sempre in prima fila sulle posizioni liberali per la riforma, avverte chi vuole intraprendere un nuovo scontro con la politica che “spot migliore a favore della separazione delle carriere non poteva esserci”. Insomma, l’eterogenesi dei fini.
Mentre le opposizioni, seppur con gradi diversi, non si discostano dal trentennale allineamento alle “toghe rosse”. Solo Carlo Calenda trova “surreale” il provvedimento pur denunciando “errori” del governo. Ma anche chi come Matteo Renzi continua a rivendicare il suo garantismo poi attacca Meloni per il “vittimismo”, stabilendo così di fatto una strana graduatoria di chi dovrebbe reagire e chi invece se ne dovrebbe stare zitto, a suo avviso, di fronte all’uso politico della giustizia.
Il Pd con Elly Schlein attacca sulle “responsabilità politiche” e chiama lo stesso premier a riferire in aula. Dove andranno Nordio e Piantedosi. Acuti contro il governo dalla sinistra di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, che accusano l’esecutivo di essere sotto “ricatto della Libia” e della sua politica anti-immigrazione, e dal capo pentastellato Giuseppe Conte.