Il suo contenuto è talmente potente e allo stesso tempo visionario, che viene spesso associato alla Costituzione degli Stati Uniti.
Invece, è nel testo della dichiarazione d’indipendenza firmata il 4 luglio 1776 (da ciò la celebre festa nazionale del 4 luglio), che bisogna riscoprire il “perseguimento della Felicità” (“pursuit of Happiness”), quale grande aspirazione dei territori sull’Atlantico che s’erano liberate per sempre dall’Impero britannico.
La ricerca della felicità era l’immenso programma da costruire nella politica e nella prassi sull’onda della Rivoluzione americana.
Ma può essere “politica” una simile ambizione che non riguarda i partiti e i loro progetti di organizzazione della società, bensì un sentimento, il più forte desiderio che accomuna persone e popoli, padri e figli, generazioni che la felicità hanno inseguito con la stessa pervicacia con cui i filosofi hanno tentato di coglierla e definirla?
E poi: in Italia che cosa potrebbe corrispondere in politica e nella nostra Costituzione al “diritto alla felicità” made in Usa, quest’emozione universale che negli Stati Uniti repubblicani e democratici reclamano e promettono oggi come il 4 luglio 1776 con l’innocenza di un fanciullo e l’entusiasmo di un sognatore?
Forse c’è una “versione italiana” del diritto alla felicità nato dalla rivolta americana: il diritto alla bellezza. Non solo perché al tempo delle guerre ripugnanti, oggidì, le famose parole che Dostoevskij fa pronunciare a uno dei protagonisti dei suoi romanzi (“la bellezza salverà il mondo”), suonano come un controcanto degli innamorati di un altro mondo possibile. Ma soprattutto perché della bellezza l’Italia è la Patria riconosciuta.
Bellezza incantevole della sua natura e dei suoi panorami e paesaggi, l’uno più diverso e affascinante dell’altro lungo l’intera Penisola.
Bellezza per il patrimonio storico e artistico che custodisce, il più vasto dell’umanità come l’Unesco ha accertato e certificato.
Bellezza per l’invidiato modo di vivere della sua gente: il buon cibo di una tradizione familiare semplice e genuina che dalle cucine delle nostre nonne e bisnonne s’è da tempo trasferita alla tavola delle trattorie. Si mangia bene ovunque in Italia.
E poi la bellezza dell’eleganza, cioè di un portamento che nella moda ci fa primeggiare nel mondo. Bellezza della creatività che dalla musica alla fisica, dall’architettura e ingegneria all’astronautica, dalla lingua all’intraprendenza imprenditoriale e sportiva, alla diligenza nel lavoro ci contraddistingue dappertutto. La passione italiana, la simpatia italiana, l’amore italiano per lo stare insieme.
Se altrove è la “ricerca della felicità” il mito trasfuso in politica, qui è la “ricerca della bellezza”. Scelta forse ancor più raffinata, perché il bello è l’anticamera della felicità. Ma comunque è qualcosa che appartiene da sempre al cuore e all’anima dell’essere italiani e dell’Italia.
Si può, dunque, scolpire il “diritto alla bellezza” tra i principi della nostra Costituzione?
Secondo Maria Agostina Cabiddu, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico al Politecnico di Milano e attenta studiosa che al tema ha dedicato una preziosa ricerca costituzionale (“Bellezza, per un sistema nazionale”), l’ipotesi non è affatto campata per aria.
Perché già adesso la bellezza, “dimensione antropologica fondamentale per la realizzazione dell’individuo ed elemento caratterizzante l’identità civile italiana, può essere assunta a chiave di lettura di diversi principi costituzionali”. La docente, di cui un brano tratto proprio da un suo saggio è stato scelto tra le tracce per la prima prova scritta all’esame di maturità del 2024, cita ben quattro articoli in cui tale dimensione è contemplata con chiarezza. A partire, naturalmente, dall’articolo 9 nella sua ultima revisione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”.
Come si vede, il legislatore è già consapevole di quanto sia importante promuovere e salvaguardare la bellezza dentro e attorno a noi.
Inserire quindi il “diritto alla bellezza” come interesse giuridicamente rilevante accanto alla “pari dignità sociale e all’eguaglianza” – principi scolpiti nell’articolo 3 -, significherebbe riconoscere il suo alto valore per una vita degna e per il pieno e ricco sviluppo della persona.
E la circostanza che queste riflessioni prendano corpo nel periodo natalizio, ispiratore di serenità, familiarità e spiritualità, testimonia quanto dal Bello nascano sempre e solo cose belle.
Pubblicato sul quotidiano Alto Adige
www.federicoguiglia.com