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Buti, Messori e il gioco delle tre carte europee smerciato dal Sole 24 ore

Cosa hanno scritto (e cosa no) Marco Buti e Marcello Messori nel loro editoriale sul Sole 24 Ore su Ue, patto di stabilità, debito e Bce. Il corsivo di Giuseppe Liturri

Ci avviciniamo sempre con rispetto e genuina curiosità intellettuale alle dotte analisi di Marco Buti e Marcello Messori, i due economisti che la domenica firmano regolarmente il loro editoriale sul Sole 24 Ore.

Altrettanto regolarmente dobbiamo confessare che spesso restiamo allibiti di fronte, non tanto alle analisi, quanto alle soluzioni proposte per rilanciare la stagnante economia europea. È il caso di quanto abbiamo letto domenica 27.

Infatti abbiamo appreso, meravigliandoci il giusto, che le politiche di bilancio per il 2025 di tutti gli Stati membri saranno, in varia misura, restrittive. È l’effetto del riformato Patto di Stabilità e delle traiettorie di riduzione della spesa pubblica, strumentali alla riduzione dei rapporti deficit/PIL e debito/PIL. Secondo gli autori si tratta di un esito «inevitabile», un’affermazione dogmatica su cui ci sentiamo di esprimere più di una perplessità. Soprattutto perché nello stesso giorno, Lorenzo Bini Smaghi sul Foglio ci racconta della robusta crescita americana sostenuta per buona parte da «un’espansione di bilancio pubblico senza precedenti» e sostiene che «non vi sia alcuna analisi scientifica che indentifichi una soglia oltre la quale i mercati finanziare cominciano a preoccuparsi del debito pubblico di un Paese».

Il guaio è che ciò avverrà «in una fase in cui l’economia europea è sostanzialmente stagnante sotto il profilo congiunturale e richiede profondi cambiamenti del proprio obsoleto modello produttivo sotto il profilo strutturale. Tali politiche assumeranno quindi carattere pro-ciclico e ostacoleranno la realizzazione di quegli investimenti innovativi e di quelle riforme che il rapporto Draghi ritiene necessarie per evitare l’agonia economico-sociale della UE».

E già questo non è un problema da poco, che i Nostri fanno passare come se fosse una sottigliezza, anziché denunciarne la totale irrazionalità e la decisiva dimostrazione della disfunzionalità di quelle regole. Stringiamo la cinghia proprio quando abbiamo fame. Un errore fatale fatto passare come un casuale fulmine a cielo sereno.

Toccherà quindi ancora una volta «alla politica monetaria svolgere compiti di supplenza». Così come accaduto nei due periodi 2011-2014 e ancor più 2015-2019. Ma, questa volta la soluzione non può più essere la riproposizione di quella stagione di «dominanza fiscale» (intesa dipendenza e perfino sudditanza della politica monetaria a quella fiscale) e né è accettabile di violare le regole del Patto di Stabilità così faticosamente riformate. Non esiste quindi spazio per politiche espansive di bilancio a livello nazionale.

E allora ecco l’uovo di Colombo o come, scrivono i Nostri, «resta una sola possibilità». Spendere a livello di bilancio europeo o, per usare le loro parole, «costruire una capacità fiscale centrale permanente» in modo da «compensare le inevitabili correzioni nazionali di bilancio» e «finanziare i cambiamenti del modello produttivo».

Come non averci pensato prima? Ora sta alla Bce «lanciare l’allarme» per evitare «distorsioni conseguenti ai sovraccarichi addossati alla politica monetaria e sollecitare le altre istituzione europee a consolidare una capacità fiscale centrale». Tutto dipenderà dalla capacità della Commissione e dei governi nazionali di realizzare tale proposta.

Così stando le cose, a noi vengono spontanee alcune domande. Se la spesa per investimenti deve accentrarsi a livello europeo – sorvoliamo per un attimo sulle distorsioni, inefficienze e sulla mancanza di focalizzazione delle scelte operate a questo livello, come stiamo vedendo col PNRR – da dove arriveranno le entrate? Ci saranno dei finanziatori su Marte? O, più probabilmente, la UE dovrà emettere nuovo e aggiuntivo debito? Garantito da quali entrate, da quale capacità tributaria? Ovviamente saranno sempre i contribuenti europei a pagare il conto e garantire la tenuta del banco. E allora – a meno di non veder decollare la pressione tributaria negli Stati membri – si apriranno delle voragini nei bilanci degli Stati membri a cui saranno sottratte delle entrate tributarie dirottate verso Bruxelles. A meno che il debito Ue non lo compri la Bce, creando moneta dal nulla. Ma allora, ammesso e concesso che sia possibile (e non lo è a Trattati vigenti), perché la Bce non fa la stessa cosa a livello degli Stati membri, come peraltro ha fatto durante il lockdown con il programma PEPP?

Insomma a noi appare un poco divertente «gioco delle tre carte». Spostare uscite e entrate a livello UE come se tale spostamento, per miracolo, creasse nuove risorse. Che invece sono sempre quelle, sia che si spenda a Roma e sia che si spenda a Bruxelles. Con l’aggravante, in quest’ultimo caso, che la decisione su come e dove spendere sarà presa altrove e i debiti o le maggiori tasse resteranno i nostri. Perché la Ue, puramente e semplicemente, non è un soggetto politico e né lo sarà mai e per tale motivo è priva del potere impositivo.

Tutto il resto è un gioco di potere guidato dall’ideologia.

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