Il diavolo, si sa, si nasconde nel dettaglio. Lo ha fatto anche nel raduno leghista a Pontida. Dove più dei ministri leghisti saliti sul palco per vantare la loro azione di governo, più di Matteo Salvini – sempre sul palco – fra gli ospiti eccellenti corsi al suo invito dagli altri paesi che soffrono la partecipazione all’Unione Europea, più di quella mano dello stesso Salvini incrociata col premier ungherese Viktor Orban, più ancora dell’antipasto dei giovani che avevano dato al segretario di Forza Italia Antonio Tajani dello “scafista” e poi lo avevano vaffanculato per le aperture alla cittadinanza ai figli degli immigrati istruitisi nelle nostre scuole; più di tutto questo, è forse destinata a rimanere nel ricordo della trentaseiesima edizione della festa del Carroccio la maglietta verde di un militante di vecchio stampo, ancora convinto che venga “prima il Nord!”. Per quanti sforzi abbia fatto e faccia ancora Salvini di fare crescere la pianta della Lega anche al Sud.
Quel “prima il Nord” di memoria e rivendicazione bossiana, che la buonanima di Silvio Berlusconi era riuscito tuttavia a smorzare, moderare, assorbire e quant’altro nell’alleanza di centrodestra, è stato riacutizzato ieri a Pontida sulla stessa maglia verde di quel militante con l’avvertimento che “l’Italia non è una e non lo sarà mai”. A sostegno autolesionistico della rappresentazione che fanno della Lega i promotori del referendum contro le autonomie differenziate e a dispetto dell’articolo 5 di quella Costituzione sulla quale hanno prestato giuramento anche i ministri succedutisi sul palco della trentaseiesima edizione della festa leghista. Esso dice, sia pure in un inciso, che l’Italia è “una e indivisibile”, anche se “La Repubblica riconosce e promuove le autonomie locali”.
Eppure, non solo i ministri leghisti hanno giurato, ripeto, sull’articolo 5 della Costituzione, ma partecipano ad un governo la cui premier parla di Nazione, e non di Paese, e richiama ogni volta che può il senso “patriottico” della sua destra. C’è qualcosa che non funziona in questa Lega ora pur anche del generale Vannacci avvolto nel tricolore. E rischia conseguentemente di non funzionare anche nella maggioranza e nella coalizione cui essa partecipa.
Ci si può anche consolare leggendo ciò che scrive Alain Friedman della sua America. Che è “un Paese – dalla Stampa di ieri – con gravi problemi di coesione sociale, un Paese diviso come mai prima era accaduto”, con tutto quel che “non promette di buono per l’Europa e per il resto del mondo, che vincesse Harris o Trump”. Ma è una consolazione alquanto relativa, perché l’America resta sempre l’America e l’Italia resta l’Italia con quell’inciso già ricordato dell’articolo 5 della Costituzione.