È notizia di questi giorni che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite abbia approvato, a larga maggioranza, un documento che riconosce la Palestina come qualificata a divenire membro a tutti gli effetti, chiedendo inoltre al Consiglio di sicurezza di superare il veto degli Stati Uniti, posto all’ultima votazione, per arrivare all’adesione a pieno titolo.
La prima e immediata risposta israeliana è stato il gesto, compiuto dall’ambasciatore Gilard Erdan, di stracciare la Carta dell’organizzazione firmata nel sempre più lontano 1945. Un gesto che ha un forte valore simbolico, di riscatto e di rifiuto verso una decisione che appare come un premio per quanto compiuto da Hamas quel tragico 7 ottobre 2023.
Ricordiamo che si tratta della stessa Assemblea che, dopo aver approvato e proclamato il 10 dicembre 1948 la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, oggi vede a capo del Forum sui diritti umani l’Iran.
Con il voto dell’assemblea, Hamas si potrebbe sentire legittimata a non intavolare ulteriori trattative per il rilascio degli ostaggi ancora nelle sue mani. Non basta evidentemente l’aver rapito, stuprato, assassinato oltre mille israeliani per venir condannata e additata dal mondo occidentale come organizzazione terroristica. A quanto pare, le sue azioni aprono la strada al riconoscimento della Palestina come Stato a tutti gli effetti.
In una guerra che diventa più che altro uno scontro tra civiltà, Hamas, infarcita di fondamentalismo e decisa a costruire un grande stato arabo, potrebbe riuscire dove anni di diplomazia e terrorismo hanno fallito. Con la propaganda a suo favore, con gli studenti che urlano nelle più prestigiose università mondiali slogan come “Palestina libera”, con un forte ritorno dell’antisemitismo (e no, non chiamiamolo antisionismo perché è la stessa identica cosa), questa organizzazione terroristica ha trovato il modus operandi per arrivare alla tanto agognata dichiarazione. Sicuramente dalla sua ha un Onu diversa nella sua composizione e con più centri di potere, che rispondono a diverse logiche ed equilibri internazionali. E sicuramente ha dalla sua anche le ultime dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti Biden, che ha fortemente criticato la decisione del Governo israeliano di entrare a Rafah, indebolendo di fatto tutta l’operazione.
Mi ero illusa che quanto accaduto il 13 novembre 1974, con l’invito da parte dell’Assemblea generale a tenere un discorso a Yasser Arafat, anche se non capo di Stato, potesse rappresentare un limite difficilmente travalicabile. Allora c’erano stati l’attentato a Monaco del 5 settembre 1972 durante le Olimpiadi, nel quale vennero uccisi 11 atleti israeliani, l’attentato a Fiumicino del 17 dicembre 1973 dove persero la vita 32 persone, l’attentato a Qiryat Shemona nel nord di Israele dell’11 aprile 1974 dove morirono 18 israeliani e infine l’attentato alla scuola di Ma’alot ancora in Israele che vide l’uccisione di 27 persone. Con il pogrom del 7 ottobre, Hamas è andato oltre il terrorismo del FPLP e di quello di al-Fatah con Settembre Nero.
Avevo sperato che, oggi come allora, il terrorismo non pagasse in termini di riconoscimento internazionale. Ma così evidentemente non è, almeno quando la parte lesa è composta da ebrei. Soprattutto oggi che ebrei e israeliani si rapportano in una potenziale uguaglianza.