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Il bilancio dello Stato ha sempre gli euro contati ma non per questo deve rimetterci il diritto alla salute

Riguardo alla spesa sanitaria pubblica pro-capite, che poi sarebbe meglio chiamarla "investimento", 13 Paesi in Europa ci superano, siamo il fanalino di coda fra le nazioni del G7 e stiamo sotto di 0,3 punti sulla media dell’area Ocse. Perché, se la salute è un diritto, in Italia non investiamo di più? Il taccuino di Federico Guiglia

 

L’articolo 32 della Costituzione non si presta a equivoci: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”.

Fa male, perciò, il grido d’allarme che la Fondazione Gimbe ha lanciato a suon di numeri e tabelle sulla spesa sanitaria pubblica pro-capite nel nostro Paese. Una spesa, ma sarebbe più corretto chiamarla un investimento per garantire il diritto alla salute che, nell’appena trascorso 2022, ci vede col 6,8% del Pil fanalino di coda fra le nazioni del G7. Superati anche in Europa da 13 Paesi, siamo, cioè, a metà classifica rispetto alla grande Germania, che investe 4,1% del Pil più di noi, e perfino alla piccola Islanda (+0,3). Risultiamo, inoltre, sotto di 0,3 punti sulla media dell’area Ocse, cioè dei 38 Stati con economia di mercato e volontà di cooperare.

Sono tutti dati due volte in controtendenza. La prima, perché per ragioni storiche, e non solo costituzionali, i governi italiani hanno sempre compreso l’importanza del ministero della Salute (o della Sanità: dal nome cangiante), pur non destinandogli mai i fondi necessari per farlo funzionare a dovere. Finendo, così, per attribuire non poche delle sue competenze alle Regioni, e per indurre gli italiani che possono permetterselo, a rivolgersi al sistema privato.

La seconda ragione della sorpresa, si chiama Covid. Con la drammatica epidemia abbiamo fatto a lungo i conti appena tre anni fa, scoprendo il ruolo insostituibile di un servizio pubblico nazionale all’altezza della gravità incombente. Con medici e infermieri “eroici”, come li osannavamo, quando negli ospedali si prodigavano per salvare le persone dal virus. Il sistema pubblico ha fatto bene.

Ma la lezione esemplare, sembra già dimenticata, a giudicare dalla crescente carenza di personale e dall’organizzazione non al passo dei tempi digitali, oltre che da una Manovra che s’annuncia all’insegna dei tagli. Della serie: non abbiamo imparato niente.

Che il bilancio dello Stato abbia gli euro contati, e per molte ragioni non tutte frutto dell’attualità economica, passi. Ma nella gerarchia delle scelte, il governo deve tenere in testa il diritto alla salute.

Per farlo, “ballano” 4 miliardi richiesti dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, e non ancora “trovati” nei conteggi in corso.

Ecco: bisogna trovarli.

(Pubblicato su L’Arena di Verona e Il Giornale di Vicenza)

 www.federicoguiglia.com

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