“In attesa del governo, al salario minimo ora pensano i giudici: Mondialpol annuncia aumenti del 38% per i vigilantes”. È l titolo polemico di Repubblica che ha fatto da apripista alle polemiche delle ultime ore. Perché il caso Mondialpol rischia davvero di fare “giurisprudenza” sul salario minimo, nel bene e nel male.
LA VICENDA
A metà luglio la società di vigilanza privata era stata commissariata dopo che le erano state mosse dalla procura milanese accuse molto pesanti: violazione dell’art. 603 bis del Codice Penale: intermediazione illecita del lavoro (cioè caporalato) e di sfruttamento di manodopera.
LE ACCUSE A MONDIALPOL
Secondo le denunce dei lavoratori della cooperativa Servizi Fiduciari, che forniva la manodopera, Mondialpol è accusata di aver costretto i lavoratori a turni lunghissimi senza retribuire correttamente straordinari, notturni e festivi, obbligandoli spesso anche a saltare i riposi. Capi d’accusa che permangono e dei quali Mondialpol dovrà rendere conto in giudizio.
COSA C’ENTRA MONDIALPOL COL SALARIO MINIMO
Nelle ultime ore, per disinnescare il commissariamento, Mondialpol, su spinta dei procuratori milanesi, ha deciso di ritoccare all’insù quello che anche noi, nel presentare la notizia, abbiamo definito salario minimo.
Si tratta di un intervento che non incide direttamente sui capi d’accusa e nemmeno li fa sparire, quasi certamente pilotato dai magistrati che, in cambio, hanno fatto venir meno il controllo coatto dell’azienda.
MONDIALPOL, I GIUDICI E IL SALARIO MINIMO
“Non può essere la magistratura ad affrontare un tema di questo tipo” perché “interviene a macchia di leopardo, rischia di avere effetti distorsivi sulla concorrenza e perché i lavoratori più svantaggiati, come donne e immigrati, non possono rivolgersi a un giudice ogni volta che hanno un problema” dice a LaPresse l’economista ed ex presidente dell’Inps Tito Boeri.
Un intervento destinato a sorprendere sicuramente il PD. Un intervento – ed è ciò che in questa sede rileva maggiormente – che per certi versi ricalca pedissequamente quelli delle associazioni datoriali che si sono rivolte al ministero del Lavoro proprio a seguito della vicenda Mondialpol per manifestare tutto il loro sdegno contro l’intervento dei magistrati.
Il Presidente di UNIV (Unione Nazionale Imprese di Vigilanza Privata, l’Associazione di categoria più rappresentativa delle imprese di Sicurezza Privata in Italia) Luigi Gabriele ha sostenuto che: “Le iniziative giudiziali messe in campo contro specifiche realtà aziendali, oltre a non risolvere la questione, rischiano paradossalmente di avere ricadute negative sugli stessi lavoratori delle aziende coinvolte, che peraltro sono le più dimensionate, generando nuova confusione e palesi squilibri di mercato”.
“Se poi si intende commissariare il sistema del libero mercato e della libera contrattazione fra le parti sociali ricorrendo allo ius judicis per stabilire quali siano le tariffe adeguate – ha aggiunto il numero uno dell’UNIV, allora si dica apertamente che si intende delegittimare l’intero sistema delle relazioni industriali, che – seppur con indubbio e colpevole ritardo – si è però assunto le proprie responsabilità rinnovando il CCNL di categoria”.
Ancor più netta la posizione di Marco Stratta, Segretario Generale di ANIVP (Associazione Nazionale Istituti di Vigilanza) secondo cui “Non siamo di fronte al commissariamento di due cooperative, ma al commissariamento dell’intero settore. O almeno è quanto emerge dalle valutazioni espresse dai Commissari al tavolo convocato dal Sottosegretario al Ministero del Lavoro; valutazioni che non hanno un riscontro oggettivo e strettamente giuridico, ma che sembrano più derivare da una sorta di condanna morale. Unici punti di convergenza nelle considerazioni del tavolo sono quelle sul mercato, totalmente drogato di massimo ribasso e principale responsabile dell’attuale situazione” – ha detto Stratta.
A entrambi ha risposto per le rime l’USB Vigilanza: “Secondo i rappresentanti padronali, l’intervento potrebbe, addirittura, provocare al settore uno “shock economico” con la conseguenza di eliminare dal mercato le imprese che rispettano fedelmente il contratto collettivo – se mai ce ne fossero – a vantaggio di quelle che operano al di là delle norme. In primis – si legge nella nota -, è bene ricordare ai segretati padronali che la magistratura è intervenuta su violazioni gravissime – quali le accuse di caporalato e sfruttamento – che, di certo, non possono tenere conto di alcun effetto distorsivo sul mercato.
“Ricordiamo ai rappresentanti di ANIVP e UNIV che la Magistratura è tenuta a perseguire i reati e non ad assicurare la tenuta economica del comparto. Da troppi anni, infatti, dietro il falso mito della salvaguardia occupazionale si è permesso ai gruppi industriali di calpestare la dignità dei lavoratori. In secondo luogo – concludono dalla USB -, siamo ben lieti di leggere che i quotidiani pubblicano con ricorrenza notizie, reportage e indagini sull’oscuro mondo della vigilanza privata che da decenni assicura grassi profitti alle imprese e povertà e sfruttamento per i loro dipendenti.”
PERCHE’ 9 EURO E NON 8,50 O 11?
Sempre a LaPresse Boeri ha comunque esplicitato i propri dubbi sulla misura, almeno per come è stata ipotizzata fino a ora: “Positivo che partiti che sin qui si erano opposti abbiano cambiato idea, sbagliato che venga stabilito a priori che deve essere a 9 euro”.
Per l’ex numero uno dell’INPS infatti i nove euro sarebbero solo una “scelta politica” le cui “basi non le sa nessuno”. Per questo auspica che proprio il Cnel guidato da Renato Brunetta e chiamato a mediare da Palazzo Chigi sul dossier “metta insieme le banche dati” per “stabilire un livello appropriato”.
COSA DICONO BOERI, CAZZOLA E SARACENO
Nel colloquio con LaPresse il docente dell’Università Bocconi dice che quello dei vigilantes “costretti ad accettare paghe da fame” è il caso-scuola “in cui secondo la teoria economica non solo il salario minimo può migliorare le condizioni di chi già lavora ma addirittura aumentare l’occupazione”. Ma l’asticella deve coprire “tutti i lavoratori”. Meglio non sparare cifre a caso da usare come vessillo, insomma.
Particolarmente duro Giuliano Cazzola, ex sindacalista, dirigente del Ministero del Lavoro e parlamentare, che sempre a LaPresse dice: “I giudici si sono arrogati l’arbitrio di decidere se quanto previsto dai contratti corrispondesse ai criteri costituzionali. Immagino che questo abuso sarà salutato come un fatto positivo da chi non è più in grado di fare il proprio mestiere, come i sindacati”. “Siamo tornati all’ordinamento fascista del lavoro – conclude Cazzola – quando la magistratura del settore, in caso di mancato accordo tra le parti, decideva”.
Ancora a LaPresse la sociologa Chiara Saraceno ha commentato: “È uno dei tanti casi in cui la magistratura è costretta ad operare in supplenza di un Parlamento che non decide e di soggetti che dovrebbero controllare ma non lo fanno”.