Il mondo della cultura piange Aldo Canovari, morto il 9 febbraio, all’ospedale di Macerata, dove era ricoverato a seguito dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute. Da anni, infatti, combatteva contro la Sla. Avrebbe compiuto 77 anni il prossimo 14 febbraio. Nel 1986 aveva fondato la casa editrice Liberilibri, che ha pubblicato testi liberali, libertari e liberisti. (Redazione Start Magazine)
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C’è un piccolo editore nella provincia italiana profonda, nella bella Macerata, dove il rosso mattone si sposa col verde della campagna e già si sente l’odore dell’Adriatico, c’è un piccolo editore, dicevamo, che ha fatto per la cultura liberale in Italia molto di più di Silvio Berlusconi con le sue case editrici: Mondadori, Einaudi, Electa, Sperling & Kupfer e Piemme.
Si chiama Aldo Canovari, classe 1946 maceratese. Dal 1986 con la sua Liberilibri, si incarica di pubblicare opere non tradotte o misconosciute. Si parla di Discorso sul libero pensiero (nel 1990) del deista inglese Anthony Collins o la Difesa della società naturale di Edmund Burke (nel 1993) o l’opera fondamentale del filosofo e politologo Bruno Leoni, Freedmon and Law, che negli Usa era stata editata nel 1961.
Canovari, come mai opere di questa portata, da noi non sono state mai tradotte o dimenticate presto?
È accaduto forse per un meccanismo di autocensura che segue per inerzia a periodi di censura legale, e forse perché queste opere disturbavano il progetto culturale delle due chiese che hanno dominato per anni l’Italia: quella cattolica e quella marxista.
Negli anni ’80, diciamo che l’Indice di Santa Romana Chiesa non c’era più e da decenni i cattolici avevano lasciato campo libero alla sinistra, nell’università e nelle case editrici.
Certo, ed erano autori che alla sinistra non andavano a genio: propugnavano la libertà dell’individuo, affermavano che i diritti individuali non sono un dono dello Stato, che ogni individuo è la sola persona che ha titolo a scegliere in come spendere la propria vita…
Pensatori libertari che l’Einaudi militante poteva pubblicare. E invece le Facezie di Voltaire, la casa torinese lo pubblicò nel 2004, ormai pienamente «mondadoriana».
Noi abbiamo avuto la soddisfazione di editarlo dieci anni prima, nel 1994. E l’anno prima avevamo pubblicato l’Inno alla gogna di Daniel Defoe, opera genialissima.
Le pare possibile che nel ventennio berlusconiano, cioè della tentata rivoluzione liberale, ci dovesse pensare un piccolo editore di Macerata?
Per carità, non ho la presunzione di essere stato il solo. Le confesso che io ho sperato che B. capisse l’importanza fondamentale della cultura per demolire la superstizione statalista, e quindi che desse un segnale forte, fondando atenei, necessari per far maturare le coscienze in senso liberale…
E invece il Gernetto, l’università brianzola del pensiero liberale, è arrivata tardi, anzi di fatto non è nata.
In 15 anni si potevano formare studiosi che avrebbero potuto contribuire a svecchiare la mentalità assistenzialista, egualitaria, statalista e conservatrice, che domina nel nostro Paese. Ma poi quei personaggi che incarnavano la cultura liberale, vedi Antonio Martino, sono stati relegati ai margini.
Il punto è: Berlusconi è davvero liberale?
Oggi non saprei rispondere. Certo, per molti anni l’ho creduto. Ma il più grande errore che posso imputargli è quello di non aver capito che la cultura viene prima dell’economia.
Un italiano come tanti…
Beh l’assistenzialismo, lo statalismo fra noi Italiani sono un tratto storico, strutturale, quasi antropologico, un bisogno antico di protezione, il ricorso ad un ente superiore. Al sorgere di un problema, ci si appella a qualcosa più in alto di noi: che può essere Dio (la religione) o, in mancanza di essa, lo Stato, come dice Pareto, allo Stato-babbo.
La religiosità è declinante, ma lo Stato tiene bene, mi pare. Nella sua astrattezza rassicurante…
Infatti, lo Stato non è che un espediente linguistico, retorico: un sostantivo collettivo, astratto e impalpabile. Se ci si pensa, non si riesce a materializzarlo, in realtà il termine «Stato» è una metafora dietro cui si nascondono singoli individui incardinati in quelle oligarchie verso le quali riponiamo talvolta speranze fideistica.
Lei intende magistratura, anche perché i problemi della mala-giustizia sono uno dei filoni della vostro collana di maggior successo: Le oche del Campidoglio…
È una caso classico di autonomia che degenera in autocrazia. In nome e col pretesto dell’autonomia, grazie al nostro ordinamento, i magistrati possono usurpare impunemente i ruoli del legislativo e dell’esecutivo. Impiegati dello Stato che, ai sensi della Costituzione, sono solo un «ordine», ma che progressivamente, e abusivamente, si sono posti come un «potere».
Addirittura…
E qui non è questione di toghe rosse o nere, è proprio un fatto di norme: tutto avviene nella piena legalità. D’altra parte, pensiamo a che tipo di carriera la legge riserva ai giudici…
L’avanzamento per anzianità, certo…
Per la precisione, è l’unico apparato in cui, in assenza di demerito, è garantita una carriera apicale. A tutti i giudici e garantito di arrivare alla Suprema corte di Cassazione.
(…)
Ma la sua passione liberale è mai approdata alla politica?
Sì, tanti anni fa. Quando accadeva, pensi, che anche in ambiente liberale, per una sorta di sudditanza alla cultura egemone, l’aggettivo liberista non andava pronunciato, per paura d’essere strumentalizzati dalla sinistra. E oggi sentiamo fior di ex-comunisti che ci danno grandi lezioni di liberalismo e di libero mercato.
(…)
Il suo è un mestiere con il quale non si diventa ricchi. Chi glielo fa fare?
Provo piacere nel dare l’opportunità ad altri di scoprire orizzonti mentali e culturali nuovi e diversi da quelli che ci hanno nutriti e accompagnati fin dall’infanzia. La soddisfazione di vedere pubblicati Facezie di Voltaire, o Difendere l’indifendibile di Walter Block, o Tenera è la legge di Giancarlo Bagarotto (presidente emerito del Consiglio di Stato) è per me la vera moneta che ripaga tanti sacrifici.