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Giorgetti

Vi racconto il centrodestra servito a Villa Gernetto da Berlusconi e Salvini

Che cosa è successo a Villa Cernetto fra torte e leader. I Graffi di Damato.

 

Comincio a temere di avere visto, seguito, incrociato, avvertito troppe edizioni del centrodestra e di finire per perderne il conto: un rischio dal quale vorrei cautelarmi elencando con la maggiore sintesi possibile ciò che mi è rimasto di loro nella memoria.

Il primo centrodestra -o polo del buon governo, come mi risultava che preferisse chiamarlo il professore Giuliano Urbani parlandone con Gianni Agnelli, fino a quando il mitico “avvocato” non lo dirottò da Silvio Berlusconi, sapendolo preoccupatissimo delle cattive acque politiche in cui erano finiti insieme gli uomini politici dei quali maggiormente si fidava il Cavaliere, cioè Giulio Andreotti, Bettino Craxi e Arnaldo Forlani, in ordine rigorosamente alfabetico- fu solo uno stato d’animo, una pulsione, il desiderio di fare qualcosa di indefinito per impedire che i comunisti, o come diavolo avevano cercato di chiamarsi o travestirsi, vincessero le elezioni del 1994 rovesciando addosso agli anticomunisti le macerie del muro di Berlino crollato nel 1989.

Da stato d’animo, pulsione e simili, in cui Fedele Confalonieri e Marcello Dell’Ultri mi coinvolsero chiedendomi di insegnare al personale di Publitalia, la lettura -pensate un po’- dei giornali, tanto malfatti i due consideravano evidentemente i quotidiani, o sprovveduti i dipendenti che andavano ad acquistarli nelle edicole, allora ancora fiorenti per tutti quegli arresti più o meno eccellenti che attiravano folle di lettori davanti alle locandine, il centrodestra divenne un piano politico organico del Cavaliere in funzione di una sua ascesa alla guida del governo, e non più di una coalizione da affidare alla leadership di qualche volenteroso di esporsi.

Me ne accorsi quando, cortesemente interpellato su chi avrebbe dovuto allearsi nel caso in cui egli avesse deciso di impegnarsi in politica, proposi a Berlusconi di mettersi con la Dc ancora di Mino Martinazzoli, che nel frattempo aveva candidato il nostro comune amico Mario Segni a Palazzo Chigi. “Ma la Lega preferisce me”, mi sentii rispondere. E infatti Segni, precedentemente accordatosi con i leghisti in una trattativa condotta per il Carroccio da Roberto Maroni, era stato appena scaricato e svillaneggiato da Umberto Bossi in persona.

Il centrodestra, diventato così il convoglio destinato a portare Berlusconi a Palazzo Chigi con le carrozze della Lega agganciate nei viaggi elettorali al Nord e quelle della destra ancora missina di Gianfranco Fini al Centro-Sud, vinse alla grande le elezioni svoltesi col nuovo sistema per un quarto proporzionale e tre quarti maggioritario, battezzato Mattarellum dal nome del relatore della legge alla Camera: l’attuale presidente della Repubblica.

Affondato in meno di sei mesi da un Bossi padano-scissionista fra le solenni promesse a caldo di Berlusconi e di Fini di non prendere più neppure un caffè col leader leghista, il centrodestra risorse come se nulla fosse accaduto nel 2001 in chiave dichiaratamente federalista: ma di un federalismo perfidamente introdotto in Costituzione come una supposta tossica prima delle elezioni dal centrosinistra. Che riuscì così a bucare le gomme al nuovo governo Berlusconi, ereditandole a sua volta senza riuscire a mettervi una pezza. Pertanto il Belpaese bipolare di cui tutti scrivevamo come di una conquista dopo le nequizie della Prima Repubblica bloccata e un po’ anche ladrona, finì per diventare un pasticcio ingovernabile anche con le migliori intenzioni

Poiché i guai non vengono mai da soli, Berlusconi aggiunse a quelli politici i suoi personalissimi e personali: i primi scambiati dai magistrati addirittura per induzione alla prostituzione minorile, sfociata in un’assoluzione definitiva ma ciò nonostante tradotta da più Procure in una serie di processi ancora aperti, nella follia che solo un sistema giudiziario come quello italiano può produrre, e per frode fiscale con tanto di decadenza dal Parlamento. I problemi personali sono quelli intervenuti quasi sistematicamente con i suoi alleati e gli stessi amici di partito per la quasi incapacità fisica che egli ha, spesso senza neppure rendersene conto, di prendere la politica per quello che è: una missione, certo, anche una missione, ma pur sempre un mestiere, una professione, un’arte -direbbe il suo amico Vittorio Sgarbi- dove non puoi fare sempre e solo quello che vuoi, neppure della roba che ti appartiene.

Ed ecco l’ultima edizione del centrodestra cui mi capita di assistere, dopo quella non so se più disordinata o fantasiosa del centrodestra di Villa Grande, a Roma, che avrebbe dovuto portarlo al Quirinale ma alla fine si è tradotta nella conversione, all’ultimo momento, alla prevedibile conferma di Sergio Mattarella. Parlo ora della versione del centrodestra di Villa Gernetto, selezionato personalmente da Berlusconi per la sua festa di simil-matrimonio con l’onorevole Marta Fascina. Alla quale, senza parlare -per carità- dei suoi familiarissimi e personalissimi problemi di primo e secondo letto -ha ritenuto di dover o poter evitare solo un alleato: Matteo Salvini. Che ha incoronato davanti alla torta nuziale ed altro come l’”unico vero, grande leader” del Paese, se giornali e agenzie hanno riferito bene.

Tutti hanno pensato e fantasticato sulla sorpresa e sui pensierini di Giorgia Meloni. Io invece, che sono il solito ingenuo e forse l’unico amico di cui Berlusconi dispone, pur se ormai più di là che di qua, ho pensato alla leadership in assoluto negata così incautamente e ingiustamente a Mario Draghi. E in un momento come questo, in cui Berlusconi deve pregare Iddio che al carissimo Putin non spunti mai la tentazione di affacciarsi in qualche modo alle sue feste.

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