In guerra lo chiamano fuoco amico. E’ quello che ti colpisce dalla tua parte. La corsa al Quirinale non è, o non dovrebbe essere una guerra, anche se i tempi bellici sono stati evocati in questa lunga pandemia virale, ma politicamente è qualcosa che le assomiglia un po’ per la posta in gioco. Che non è solo la Presidenza della Repubblica ma anche ciò che potrebbe derivarne sugli equilibri di governo, già travolti una volta dall’elezione del Capo dello Stato con una maggioranza diversa da quella dell’esecutivo in carica. Accadde nel 1971 con l’elezione del democristiano Giovanni Leone senza i voti dei socialisti, che per reazione o ripicca- come preferite- uscirono dal centrosinistra. Proprio quella elezione è stata evocato qualche giorno fa dal segretario del Pd Enrico Letta con preoccupazione.
Fra tutti i candidati al Quirinale non dico virtuali, perché sarebbero tutti gli italiani di 50 anni compiuti e titolari dei “diritti civili e politici”, come dice l’articolo 84 della Costituzione, ma più esposti -diciamo così- c’è Silvio Berlusconi. Al quale l’amico, anche se un po’ meno di qualche anno fa, ed ex presidente del Senato Marcello Pera ha appena riconosciuto filosoficamente su Libero il merito di avere rotto la tradizione farisaica di candidarsi non candidandosi, tanto evidente sarebbe ormai la sua corsa al Colle, pur non ancora formalizzata o da lui esplicitamente ammessa.
E’ una candidatura, quella di Berlusconi, insidiata anche da Pera, già evocato come un possibile esponente del centrodestra alternativo al Cavaliere e nascostosi -sempre su Libero- dietro l’ironica osservazione che certe cose vengono curiosamente confermate quando si smentiscono. Ma più ancora che da Pera con questa sostanziale disponibilità a non tirarsi indietro se dovesse avere l’occasione di entrare nella partita, la candidatura di Berlusconi è insidiata da quella potenziale -la più titolata dai giornali da un bel po’ di settimane- da Mario Draghi. Di cui proprio Berlusconi si vanta di essere estimatore ed amico, prodigatosi a tal punto per facilitarne l’insediamento a Palazzo Chigi nello scorso mese di febbraio da essere oggi il più preoccupato di tutti a immaginarlo -rovinosamente per l’Italia- in un’altra postazione politica e istituzionale. Alla quale quasi quasi lo stesso Berlusconi si sarebbe accollato l’onere di candidarsi al Colle proprio per evitare vuoti pericolosi alla guida del governo con una elezione del presidente del Consiglio: così eccezionale, del resto, da non avere precedenti nella storia della Repubblica.
Non dico che anche quello di Draghi, se dovesse uscire dall’ermetismo che molti gli rimproverano e confermare la volontà già attribuitagli dall’Econmiist di succedere a Sergio Mattarella, possa e debba essere definito “fuoco amico” contro Berlusconi, perché Draghi è fuori da ogni schieramento, ma è ben definibile fuoco amico, appunto, quello del ministro forzista Renato Brunetta. Che, pur sapendo quanto Berlusconi tenga al Colle e possa essere disturbato, diciamo così, da una candidatura come quella di Draghi, si è appena prodigato in una intervista al Corriere della Sera nella difesa di una destinazione quirinalizia del presidente del Consiglio. Che peraltro proprio lui come ministro più anziano sarebbe chiamato a sostituire temporaneamente: avverbio che non basta a tranquillizzare Marco Travaglio, già ossessionato dall’idea che le elezioni presidenziali possano trascinarsi così a lungo, oltre la scadenza del mandato di Mattarella, da assistere alla supplenza della presidente forzista del Senato Maria Elisabetta Alberto Casellati. Uno scenario- tra Brunetta e la Casellati- da incubo per il direttore del Fatto Quotidiano, spesosi ieri con un titolo di allarme.
Come avrà preso Berlusconi la difesa dell’ipotesi di Draghi al Quirinale fatta da Brunetta, fiducioso che i partiti siano tanto responsabili da non farsi tentare dalle elezioni anticipate temutissime dai parlamentari che sono un pò dei tacchini alla vigilia di Natale; come avrà preso Berlusconi, dicevo, la sortita di Brunetta vi lascio immaginare. Lo stesso vale per l’incontro che Giorgia Meloni ha avuto con la vice presidente della regione Lombardia e forzista onoraria Letizia Moratti: un incontro che è bastato e avanzato a far sognare la prima donna al Quirinale nella redazione di Repubblica pur descalfarizzata ormai.Dove l’ostilità al Cavaliere è stata chiaramente espressa dal direttore Maurizio Molinari domenica, lamentando “gli scandali che lo hanno avuto protagonista”, e ribadita il giorno dopo dall’ex direttore Ezio Mauro. Il quale senza evocare -bontà sua- scandali veri o presunti, ha liquidato Berlusconi come una delle “tre destre” del Paese da tenere a bada: quella “conservatrice” della Meloni, quella “reazionaria” di Matteo Salvini e quella “liberal-cesarista”, da “ossimoro”, dell’ex presidente del Consiglio. Che, poveretto, per marcare la differenza dai suoi alleati ha pure ripristinato il trattino separando il centrodestra quando ne scrive. Tutto inutile, a quanto sembra.
Altro “fuoco amico” è arrivato a Berlusconi da Vittorio Sgarbi. Che addirittura da uno dei canali televisivi del Biscione ha l’altra sera rivolto all’amico il consiglio di sponsorizzare lui stesso la candidatura di Draghi. Che potrebbe disobbligarsi nominandolo poi, e meritatamente, senatore a vita, anche a costo -aggiungo- di procurare a Travaglio un travaso di bile.